domenica 29 luglio 2012

Bruno Gambacorta, Eat Parade, Milano, RAI Eri - Vallardi, 2011

SINOSSI DEL LIBRO Bruno Gambacorta, Eat Parade, Milano, RAI Eri - Vallardi, 2011 Il libro si compone di 35 storie in tutto, suddivise in tre parti o sezioni: “Saper fare”, “Far sapere” e “Rinascere in cucina”. “SAPER FARE” La prima parte, “Saper fare”, è dedicata a una sorta di viaggio enogastronomico e turistico, in giro per alcune regioni d’Italia, “alla scoperta di personaggi e prodotti fuori dal comune, salvati dall’estinzione o reinventati all’insegna della qualità”. Si tratta delle prime 12 storie di luoghi, associazioni, persone e prodotti tipici, intervallate da schede o box di approfondimento e da 25 ricette d’autore. In rigoroso ordine alfabetico, si parte dalla Basilicata – recentemente riscoperta quale meta turistica grazie al successo di Rocco Papaleo e del suo divertente film “Basilicata coast to coast” - e, in particolare, dall’Alta Val d’Agri, ora sede di un nuovo Parco Nazionale. Si racconta la storia dei fagioli IGP del piccolo comune di Sarconi, del suo Consorzio e di Terenzio Bove, strenuo propugnatore dell’agricoltura biologica in Lucania. La seconda e terza tappa del viaggio sono dedicate alla Campania. Con i suggestivi titoli di “L’oro giallo di Sorrento” e “La mozzarella perfetta”, due capitoli del libro raccontano le storie di altrettanti prodotti tipici e rappresentativi di quella terra una volta conosciuta come “felix”: i gialli limoni ovali di Sorrento e la mozzarella di bufala di Paestum. Ai limoni e al limoncello di Sorrento è intrecciata la storia di Mariano Vinaccia e della Cooperativa Solagri (acronimo di SOrrento Limone AGRIcoltura), e della loro opera di tutela, insieme agli agrumeti della penisola sorrentina, del paesaggio, della vivibilità del territorio e della sua enogastronomia. Alle mozzarelle di Vannulo, invece, è associata la storia imprenditoriale di Antonio Palmieri e famiglia e della loro esemplare e moderna azienda di 500 bufale, una specie di piccola Svizzera a due passi dai meravigliosi templi di Paestum. Alla conviviale Emilia-Romagna, ai salumi della Bassa parmense e, in particolare, al Culatello di Zibello è dedicato il quarto capitolo del libro che rievoca l’antica storia di famiglia di Massimo Spigaroli e della sua premiata norcineria, apprezzata e ammirata dal principe Carlo d’Inghilterra, che si era anche offerto di assumerlo come “norcino di corte” in Galles. Il quinto capitolo è, invece, dedicato a quell’autentico angolo di Paradiso, a poco più di una ventina di chilometri a est di Genova, dominato dal Parco Naturale del Monte di Portofino, con la sua celebre Abbazia di San Fruttuoso. Si racconta delle acciughe sotto sale del Mar Ligure - “u pan du ma”, vero e proprio pane del mare - della Cooperativa Pescatori di Camogli, nonché dei famosi gamberi rossi della vicina Santa Margherita Ligure. Acciughe e gamberi sono entrambi prodotti tipici e tradizionale vanto dei ristoratori della Riviera Ligure. Nel sesto capitolo si parla di tartufo, tartufi bianchi d’autunno e neri d’estate, prodotti quasi esclusivi del nostro paese e di fondamentale importanza turistica, economica, culturale e gastronomica, ma non siamo né ad Alba, in Piemonte, sede di una grande Fiera del tartufo da oltre 80 anni e di un Centro nazionale di studi, né ad Acqualagna, nelle Marche, né a San Giovanni d’Asso, nelle Crete senesi, nel suo curioso Museo del Tartufo. Lontano dalle capitali italiane del tartufo, siamo accompagnati fino in Molise, in un piccolo comune di meno di settecento anime nella provincia d’Isernia: San Pietro Avellana. In una zona montuosa a mille metri d’altitudine, ai margini dell’antico tratturo tra Celano e Foggia, distante da grandi centri abitati e dai principali flussi turistici, il tartufo ha fatto un piccolo miracolo diventando il “vero collante economico” della zona. Agli oltre 5 milioni di ulivi centenari e perfino millenari della Puglia, “paesaggio unico al mondo”, è dedicato il settimo capitolo, che racconta la storia della Comunità degli oliveti monumentali e del progetto “Oro dei Giganti”. In una regione da cui deriva circa un terzo della produzione nazionale di olio d’oliva, ma in cui “non sempre gli agricoltori hanno scelto la qualità, per cui l’immagine complessiva del prodotto non è assolutamente in grado di competere con quella dell’olio toscano, abruzzese, ligure o del Garda”, il cosiddetto Oro dei Giganti è, per ora, solo un’esperienza pilota ma dall’alto valore simbolico. A presidio delle antiche masserie, dell’ambiente e della biodiversità di queste terre e dell’impegno contro la criminalità organizzata, il progetto, sostenuto dal gruppo Alce Nero & Mielizia e dal suo presidente Lucio Cavazzoni, ha vinto nel 2010 anche il Panda d’Oro, una specie di Oscar dell’ambiente, assegnato dal WWF. Ad Antonello Salis e al salumificio di famiglia “La Genuina” di Ploaghe, un paesino in provincia di Sassari, è dedicata l’ottava storia di “Saper fare”. Si tratta dell’invenzione di un prodotto nuovo ma profondamente connaturato al paesaggio sardo, in cui vive la metà delle pecore presenti sul suolo italiano: il prosciutto di pecora della Sardegna. Oltre a ricevere l’Oscar green della Coldiretti per “l’innovazione in agricoltura”, il prodotto ha ottenuto la certificazione kosher dal rabbino di Trieste e halal dall’imam di Sassari, aprendo interessanti prospettive culturali ed economiche di mercato presso le comunità ebraiche e islamiche non solo in Italia e in Europa. La dinastia degli Alois e Alois Lageder, con la sua azienda e cantina di Magrè in Alto-Adige, sono i protagonisti della nona storia, culminata nella conversione di oltre cinquanta ettari di vigneto al metodo biodinamico, sulla base dei principi della scuola antroposofica fondata da Rudolf Steiner, e dei criteri di coltivazione della vite, più equilibrati e naturali, dell’Associazione internazionale biodinamica Demeter. La decima storia racconta di due umbri “legumi d’autore”: le lenticchie di Castelluccio, una frazione di Norcia, all’interno del Parco dei Monti Sibillini, con marchio europeo Igp, e la roveja di Civita di Cascia, coltivata già in epoca preistorica e che “pare sia stata, insieme a lenticchie, orzo e farro, la base dell’alimentazione umana nel Neolitico”. Scomparsa prima come foraggio, poi come alimento per l’uomo, è stata riscoperta alla fine degli anni Novanta, diventando nel 2006 oggetto di un Presidio Slowfood. Civita di Cascia, con i suoi sessanta abitanti e nonostante il suo isolamento, è diventata ormai nota ai buongustai grazie a questo legume unico dalle antichissime origini. Protagonista dell’undicesima storia di “Saper fare” è Gerardo Beneyton, fondatore del Consorzio cooperative agricole della Val d’Aosta e di Caseus Montanus, Centro internazionale per l’agricoltura di montagna, e ideatore delle Olimpiadi biennali del formaggio. Al centro del racconto la sua battaglia per far conoscere e salvare dall’estinzione i formaggi di montagna, con i loro sapori unici e inconfondibili, conferiti dai “pascoli in alpeggio e dalla lavorazione in malga”. Una scheda di approfondimento illustra le attività dell’ONAF, Organizzazione nazionale assaggiatori di formaggi, e di uno dei suoi fondatori e storico presidente, Pietro Carlo Adami. Chiudono la prima sezione di “Saper fare” la storia della famiglia Melotti e di “uno dei risi più amati dagli chef di tutto il mondo: il Vialone Nano Veronese Igp”, prodotto a Isola della Scala e in altri 23 comuni a sud di Verona, “in un bel contesto ambientale punteggiato dai castelli scaligeri”. Un’allegata scheda di approfondimento ci conduce, tuttavia, nella capitale del riso italiano, a cavallo tra Piemonte e Lombardia, nel vercellese, per raccontarci la storia dell’architetto-agricoltore Piero Rondolino. FAR SAPERE La seconda parte o sezione del libro è dedicata alle storie di alcuni “divulgatori appassionati e colti, capaci di scegliere e proporre il meglio dell’enogastronomia di qualità”. Si tratta di altre 11 avvincenti storie, la prima delle quali si svolge in Abruzzo, nel piccolo ma graziosissimo paese di Anversa degli Abruzzi, dove il pastore Nunzio Marcelli, laureatosi poi in economia con una tesi sul recupero delle aree interne mediante la pastorizia, prima fonda una cooperativa con altri allevatori e, dopo, s’inventa un progetto di successo, largamente imitato, dal titolo “Adotta una pecora...Difendi la natura”. Alla regione e all’uomo più piccanti d’Italia, la Calabria ed Enzo Monaco, fondatore e presidente del Peperoncino festival di Diamante (che nel 2012 festeggerà la sua XX edizione) e dell’Accademia italiana del peperoncino, è dedicata – invece - la seconda storia di Far Sapere. Il peperoncino, ormai onnipresente “in quasi tutti i piatti della cucina calabrese”, cosiddetta “spezia dei poveri”, diventa, grazie ad Enzo Monaco, il “simbolo d’identità culturale e gastronomica” di un’intera regione pur “divisa da mille campanilismi” e un fenomeno turistico ed enogastronomico di successo. Nel terzo capitolo di Far sapere Bruno Gambacorta racconta delle antiche razze rustiche di maiali nostrani, fuori moda solo fino a qualche tempo fa: dalla mora romagnola, alla cinta senese al suino nero di Calabria, dei Nebrodi o della Sardegna. I protagonisti veri della storia sono, però, in realtà i suini neri casertani, “i pelatielli con le sciucquaglie”, quasi privi di setole ma con due escrescenze “che pendono a mo’ di orecchini ai lati del collo”. Grazie all’opera combinata di Luciano Di Meo, e della sua masseria di famiglia nella piana del Volturno, e di Bernardino Lombardo, prima col suo ristorante di Pietravaraino, poi con il suo agriturismo di Conca della Campania, si può cominciare a parlare di una vera e propria ”rinascita del maiale nero casertano”. A quattro singolari ma fondamentali musei del cibo, oltre 100.000 visitatori e un portale ancor più visitato, è dedicato il quarto capitolo della sezione Far Sapere. Si tratta dei Musei del Parmigiano Reggiano di Soragna, del Museo del prosciutto di Langhirano, del Museo del Salame di Felino e del Museo del Pomodoro di Giarola, tutti nati nella provincia di Parma – una delle capitali italiane del settore agroindustriale – per impulso di Albino Ivardi Ganapini, prima “braccio destro di Pietro Barilla”, poi assessore all’agricoltura nella giunta provinciale dal 1999 al 2004. Scrive, a tal proposito, Bruno Gambacorta: “Trovo questi musei una delle cose fondamentali per un paese come il nostro che si vanta, giustamente, della quantità, qualità e varietà dei propri prodotti enogastronomici. Dare profondità e spessore culturale a queste affermazioni è indispensabile”. A Ganapini si deve riconoscere, inoltre, il merito di aver realizzato – nella Reggia di Colorno – anche la Scuola Internazionale di Cucina Italiana Alma, nata allo scopo di diffondere la cultura della cucina e dei prodotti italiani e di formarne gli operatori e a dirigere la quale, come rettore, è stato chiamato Gualtiero Marchesi, “riconosciuto da tutti come il padre della cucina italiana moderna”. Giovanni Ballarini, veterinario, antropologo alimentare, professore emerito dell’Università di Parma ma anche grande divulgatore televisivo, è il protagonista della quinta storia, insieme all’Accademia Italiana della Cucina (AIC), di cui è diventato Presidente nel 2008. Fondata nel 1953 a Milano, per iniziativa del giornalista e scrittore Orio Vergani e di altri personaggi come Dino Buzzati, Giò Ponti e Arnoldo Mondadori, scopo dell’Accademia è “tutelare le tradizioni della cucina italiana, di cui promuove e favorisce il miglioramento in Italia e all’estero”, attraverso le sue delegazioni, il Centro Studi “Franco Marenghi”, la Biblioteca “Giuseppe Dell'Osso”, il suo sito web e le sue numerose pubblicazioni e guide di ristoranti di cucina italiana e ricettari. L’Emilia-Romagna, per la terza volta consecutiva, è ancora la protagonista della sesta storia di Far Sapere, attraverso tre suoi prodotti tipici (lo scalogno, il formaggio di fossa e la piadina romagnola tradizionale), ma – soprattutto – attraverso l’incontro con Graziano Pozzetto, “una sorta di moderno Artusi, che raccoglie e tramanda le ricette fondanti della tradizione romagnola”. “Straordinario personaggio della Romagna di Fellini e di Tonino Guerra” Bruno Gambacorta lo presenta come “un personaggio chiave nella salvaguardia e divulgazione dei piccoli capolavori che il sapere contadino ha creato nel corso di secoli e noi stiamo disperdendo in pochi decenni”. Pozzetto ha raccolto nella sua casa di campagna un enorme archivio-biblioteca di narrazioni di cibo, vera e propria “enciclopedia dei sapori romagnoli”, diffusa in “duemila incontri pubblici con decine migliaia di persone, ottomila pagine laboriosamente scritte a mano e una ventina di volumi”. La settima storia, dal suggestivo titolo “L’igienista gourmet”, ha per protagonista Gaetano Maria Fara, professore di Igiene e direttore prima degli Istituti di Igiene dell’Università di Milano, poi della Sapienza di Roma, nonché autore di numerosi lavori scientifici dedicati all’alimentazione e, insieme al figlio Tommaso, appassionato di cucina. “Accanto all’igiene degli alimenti, volta a garantire la sicurezza, Fara sollecita soprattutto i giovani ad approfondire l’igiene della nutrizione”, un’educazione nutrizionale fondata sul “mangiare meno” ma “mangiare meglio”, prestando “attenzione alla qualità, alla varietà e alla stagionalità, nel rispetto delle tradizioni, ma senza dimenticare la ricchezza” del “mangiare degli altri”. “E da gastronomo” egli è perfettamente d’accordo “con Carlin Petrini, quando raccomanda di andare oltre l’approccio accademico del nutrizionismo e delle tecnologie alimentari, per arrivare alle scienze gastronomiche”, conciliando “saperi scientifici e saperi umanistici connessi alla cultura del cibo, come la storia e l’antropologia”. L’ottava storia di Far Sapere è dedicata “all’avventura umana e gastronomica di Emilio Bei” e al loro “cenacolo artistico di famiglia”. Il ristorante “Da Emilio”, “a due passi dalla spiaggia di Casabianca di Fermo” nelle Marche è diventato un luogo unico, felice connubio tra ristorazione e arte, con i quadri, le sculture, le bottiglie dipinte, le ceramiche e i paralumi “firmati da grandi artisti amici di famiglia” (Vedova, Burri, Cascella tra gli altri), raccolti “ in quasi cinquant’anni, all’interno del loro ristorante stellato, un vero museo di arte moderna e contemporanea”. La nona storia di Far Sapere ci conduce in Piemonte, a Torino, laboratorio di alcune delle cucine etniche presenti in Italia e patria del “gastronomade” ed esperto di cucina etnica e del mondo Vittorio Castellani, alias Chef Kumalè, con allegata una scheda sull’interessante manifesto-decalogo del Couscous Clan contro la xenofobia gastronomica. La Sicilia è la protagonista della decima storia con i suoi formaggi tipici (Ragusano, Pecorino Siciliano, Vastedda, Piacentino, Provola dei Nebrodi, Caciobufalo e Maiorchino), salvati dall’estinzione grazie a Giuseppe Licitra, fondatore e direttore del Consorzio per la ricerca sulla filiera lattiero casearia (CORFILAC), in cui si produce il 70% del latte siciliano, un latte intero fresco pastorizzato dal sapore ricco e denso. La sezione di Far Sapere si conclude in Toscana, tra le colline di Montalcino e del celebre Brunello e le Crete Senesi, con l’undicesima storia. Ne sono protagonisti Donatella Cinelli Colombini e le sue “creature”: dal Movimento Turismo del Vino, da lei presieduto fino al 2001, a Cantine Aperte e Strade del Vino, ormai una realtà dell’enoturismo italiano. Ben 23 ricette, dalle più semplici alle più complesse, accompagnano la lettura delle 11 storie raccontate in questa seconda parte del libro. RINASCERE IN CUCINA La terza e ultima parte del libro racconta, infine, “le storie” – dodici in tutto – “di chi si è inventato una nuova vita tornando a coltivare la terra, a produrre o raccontare cibo e vino”. La prima storia è dedicata al capoluogo abruzzese L’Aquila, città fantasma dopo il tragico terremoto del 6 aprile 2009, e ad alcuni dei suoi coraggiosi piccoli produttori e ristoratori, tra i quali Marzia Buzzanca, che faticosamente stanno cercando, tra “disperazione e preoccupazione” di ricominciare. La seconda storia ci porta nel cuore di Napoli e ci racconta del “paziente lavoro” di un ex-sindacalista, Antonio Tubelli, e del suo ristorante “Timpàni e Tèmpura”, a due passi da Piazza del Gesù e di Spaccanapoli, nel “recupero delle più genuine tradizioni gastronomiche napoletane”. Alle comunità “salvavita” per tossicodipendenti di San Patrignano, fondata da Vincenzo Muccioli nell’entroterra delle colline riminesi, e di “Mondo X”, fondata da padre Eligio a Cetona, “tra le splendide colline senesi”, è dedicata la terza storia, “un progetto di vita” e “un’opportunità per tanti ragazzi” di riscoprire attraverso la cucina, l’artigianato e l’agricoltura “il piacere della vita”. Al curioso e insolito “Goloso Ordine delle Cesarine”, “emblema di chi prepara il cibo in ambiente domestico”, e a Homefood, Associazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio gastronomico cucinario tipico d’Italia, fondata da Egeria Di Nallo, è dedicata la quarta storia. Del Friuli-Venezia Giulia e, in particolare, della Carnia, “la zona più montuosa della provincia di Udine, al confine con la Carinzia” austriaca, e di alcuni dei suoi prodotti più tipici (prosciutti, formaggi, vini e non solo) si narra nella quinta storia, insieme alla vicenda esemplare della famiglia Petris, esempio di come il settore enogastronomico possa costituire un’occasione di rilancio e rinascita dopo i disastri di un tragico evento sismico. Andy Luotto, attore italo-americano, soprannominato “The cook” fin dagli anni del liceo, è - invece - il protagonista indiscusso della sesta storia. Collaboratore di Eat Parade e, ormai, chef di professione, Andy Luotto ha da poco pubblicato il suo primo libro di ricette col gustoso e ironico titolo di “Faccia da chef”. Una scheda di approfondimento, dal divertente titolo “L’Andypasto”, illustra la filosofia “cucinaria” dell’attore e i suoi principali comandamenti: 1) materie prime di qualità e tempi di cottura ridotti al minimo; 2) stagionalità; 3) manualità e gestualità; 4) conoscenza del prodotto nelle sue fasi di crescita e, quinto e ultimo comandamento, divertimento in cucina, contro ogni routine. La settima storia, intitolata “Da Superquark alla grande cucina cinese”, racconta di Giacomo Rech, uno degli autori del “mitico programma di divulgazione scientifica di Piero Angela” e dell’“avventura del Green T. (gioco di parole per tè verde), il ristorante cinese che Giacomo e la moglie Yan hanno aperto a Roma nel 2005”. Una storia d’amore italo-cinese, basata sulla condivisione di “saperi e sapori” che ha portato alla nascita di “uno dei pochi locali in Europa dove si possa provare la cucina cinese di alta scuola”. Due ricette e una scheda di approfondimento sull’anatra laccata alla pechinese, ormai “entrata nell’immaginario gastronomico dell’intero pianeta”, accompagnano l’insolita storia di cibo e amore di Giacomo Rech e consorte. Al centro dell’ottava storia è “l’inaspettata svolta bucolica” di Giampaolo Sodano, giornalista e direttore prima di RAI2, poi di Canale 5, diventato coltivatore di ulivi, produttore di olio e leader dell’Associazione italiana frantoiani oleari. Dopo aver acquistato un frantoio nella Tuscia viterbese, tra Nepi e Vetralla, Giampaolo Sodano è ora sempre più impegnato nella difesa e nella salvaguardia dell’olivicoltura, vero e proprio “simbolo della dieta mediterranea”. Con il suo “Progetto Pane e olio” ha prodotto un film, prima, e poi una guida ai frantoi artigiani, entrambi col titolo di “Pane e olio”. All’abbinamento tra carcere e cucina, come “opportunità di lavoro gratificante e non banale”, “formazione professionale” e occasione di riscatto sociale, è dedicata la nona storia di “Rinascere in cucina”. Sono brevemente raccontate le esperienze di alcune case di reclusione italiane e di alcuni gruppi di detenuti, da Rebibbia a Opera, da Padova a Volterra e di alcune cooperative sociali di reclusi. Ormai notissima è la cooperativa di catering “Abc” costituita presso il carcere di Bollate, nella Casa di reclusione di Milano. Nella decima storia, invece, “si parla di cibi e di vini veramente fuori dal comune...buoni e genuini, ma soprattutto dal sapore della dignità recuperata e della giustizia”. Si tratta, infatti, della “rete delle cooperative sociali che in tutto il sud, ormai, sono nate sotto l’egida di Libera Terra”, nei terreni confiscati alla mafia, alla ‘ndrangheta, alla sacra corona unita e alla camorra. Dalla Sicilia alla Calabria, dalla Puglia alla Campania, legate ai nomi di Placido Rizzotto, Pio La Torre, Peppino Impastato, Beppe Montana e Don Peppe Diana, oltre a produrre cose “buone, pulite e giuste” per dirla con le parole di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, le cooperative di Libera, associazione fondata da Don Luigi Ciotti, “organizzano campi estivi” e sono ormai diventate un punto di riferimento indispensabile per tutti coloro che si battono per un’agricoltura onesta e un turismo sociale, responsabile e eco-compatibile. L’undicesima storia è dedicata per intero alla Toscana e, col titolo di “Principe del vino”, a Duccio Corsini, collezionista d’arte e produttore di vino, ultimo discendente di un’antica e nobile famiglia fiorentina. Nelle tenute famigliari di San Casciano in Val di Pesa e della Marsiliana, “nel cuore della Maremma”, agricoltura, vino, turismo e buona cucina si fondono e s’integrano armonicamente tra loro, per promuovere il made in Italy anche attraverso l’abbinamento fra opere d’arte e vini di prestigio. La dodicesima e ultima storia di Rinascere in cucina ci conduce fino in Trentino, nella Bersntol o Valle dei Mòcheni, che lo scrittore austriaco Robert Musil aveva definito col poetico nome di “La valle incantata”. “Isolata per secoli”, la valle si è ora trasformata, grazie ai soci della Cooperativa di Sant’Orsola, “nel principale luogo di produzione” di piccoli frutti come ”fragoline, more, lamponi, mirtilli e ribes”, fino a coprire “la metà del mercato italiano”. Grazie al loro lavoro si è riusciti a bloccare l’esodo dei valligiani e lo spopolamento della vallata, diventata ora anche simbolo e meta di “un turismo enogastronomico e sostenibile”. Altre 24 gustose ricette accompagnano anche questa terza e ultima parte del libro. Aldo Maiorano

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