sabato 15 agosto 2015

Mio zio Aldo, mia nonna Carmela ed io: una pagina di diario della metà degli anni ‘90

Mio zio Aldo non l’ho mai conosciuto di persona. Era nato a Napoli il 25 agosto 1925 e morto a Faicchio il 14 o 15 ottobre 1943, trucidato ferocemente dai soldati tedeschi in ritirata, insieme ad alcuni compagni di sventura, tutti ritrovati crivellati di colpi, nella piccola cappella campestre di San Francesco a Faicchio, forse soltanto a poche ore e ad appena qualche centinaia di metri dalla Salvezza. Quando nacqui io, il 4 luglio 1957, insieme ai nomi dei miei due nonni Leone (materno) ed Eduardo (paterno), mia madre e mio padre scelsero, però, di darmi il suo come primo nome. Ancora oggi, perciò, mi chiamo e mi chiamano Aldo e di mio zio conservo tuttora vivissimo il ricordo, in larga parte tramandatomi – nonostante tutto - proprio da mia nonna Carmela Coppola in Pezzato. Mi piaceva moltissimo ascoltare dalla sua viva voce, quando ero ancora soltanto un ragazzino, i suoi racconti sull’ultima grande guerra mondiale. Mi affascinava sentirla parlare di quel mondo e di quelle storie così grandi e terribili e che lei aveva vissuto in prima persona. Dei bombardamenti sulla città di Napoli, degli allarmi aerei notturni, delle corse affannose e angosciose nei rifugi sotterranei e della scelta, infine, di rifugiarsi a San Salvatore Telesino, insieme a tante altre famiglie napoletane, sfollate nell’entroterra beneventano per sfuggire alle bombe. E del mio nonno materno e suo marito Leone, morto pochi giorni prima di mio zio Aldo e della forza d’animo, del coraggio e della fatica con cui lei, oramai vedova e sola, lavorando come sarta, aveva poi portato avanti tutta la sua famiglia con i quattro figli rimasti: Antonio, Luigi o zio Gigi, Maria ed Elena, la più piccola, mia madre. Mi commuovevo quando la sentivo cantare “Vecchio scarpone” o “Lazzarella” con quella sua voce ancora limpida e squillante nonostante l’età o raccontare, con una voce strozzata dal pianto soffocato e dalla tristezza dei ricordi, delle bucce dei piselli o delle patate che erano tutti costretti a mangiare in mancanza di meglio. Mi piaceva sentirla parlare di quella grande e bella casa con terrazzo e giardino pieno di piante e di fiori, palazzo di proprietà di Mario Herb e del suo stabilimento di orticoltura, presso il quale lavorava e viveva mio nonno con tutta la famiglia, in via Trivio, a pochi passi da piazza Carlo III a Napoli, ed in cui anch’io ero nato e poi, dopo il terremoto del ’62 e l’abbattimento del palazzo, della necessità di lasciarla per trasferirsi all’Arenella, in via Pietro Castellino, 91. Di mio zio e di suo figlio Aldo, tuttavia, non parlava quasi mai con prontezza, né con dovizia di particolari e dettagli. Io la tempestavo di domande, di richieste di spiegazioni, di perché e di per come, la sollecitavo a darmi notizie più precise…ma senza molto successo. Ricordo ancora distintamente la sua reazione abituale: “Ah” – sospirava – “povero Alduccio! Tanto, troppo tempo è passato…A che serve parlarne ancora?”. Erano i primi anni settanta e, a distanza di ormai circa 30 anni da quei tragici e drammatici eventi di quel maledetto 0ttobre del 1943, le riusciva ancora così difficile, insopportabile, doloroso quasi intollerabile rievocarne la memoria. Io riuscivo a comprendere lo strazio che aveva provato da madre e che ancora provava e tuttavia, un po’ sadicamente, insistevo, ma riuscivo a strapparle solo qualche accenno, qualche vago ricordo e qualche sofferta e laconica frase, ma poco di più. Solo pochi, scarni dati biografici, qualche foto, un santino e quella lettera con quell’auspicio non realizzatosi e quella promessa non mantenuta: “Carissima Mamma, ti ringrazio per le 200 lire che mi erano di bisogno. Mi fa piacere sapervi tutti bene come ti assicuro di noi lo stesso…Ci rivedremo presto e saremo felici. Ti abbraccio e bacio insieme a Maria, Gino ed Elena. Aldo Pezzato”. Tutto qui? Possibile che non si potesse sapere altro? Chi era Aldo Pezzato, mio zio? Come si erano davvero svolti quei tragici fatti? Per molti anni queste domande mi hanno spesso tormentato e hanno alimentato nel tempo, rendendo
quasi insaziabile proprio perché mai del tutto saziata, la mia curiosità. Forse solo ora, a distanza di circa vent’anni dalla morte di mia nonna a Formia nel luglio del 1975, solo ora – dicevo – mi rendo pienamente conto di come anche il suo esempio di vita e tutti i suoi racconti abbiano segnato la mia infanzia e adolescenza, comunque, notevolmente contribuendo a formare il mio carattere e la mia personalità. Aldo Maiorano, 1995

Dal Collettivo Presenza e Vigilanza alla nascita dell’Agricolarte o Arte del Bisogno

Dal Collettivo Presenza e Vigilanza alla nascita dell’Agricolarte o Arte del Bisogno 1974-1977: gli anni dell’impegno sociale. Luigi Pezzato fu uno dei principali promotori ed esponenti del “Collettivo Presenza e Vigilanza dei Lavoratori della Scuola - Regione Campania”, costituitosi a Napoli sul finire dell’anno 1973 ed attivo sul territorio fino al 1977, con l’obiettivo dichiarato di finalizzare la propria attività di ricerca-azione al “recupero della realtà come totalità concreta”. A tale scopo il gruppo, inizialmente formato da operatori culturali provenienti dalla “cosiddetta area artistica”, quali – ad esempio – Pezzato, Salier, Frallicciardi, Rossi, Volpe, Giuliano, Alamaro, Iadarola, Altieri, Parente, ecc. – cui si aggiunsero ed “affiancarono altri lavoratori provenienti da differenti ambiti”, scelse di operare sostanzialmente su due piani. Il primo “riguardava la ricerca nel campo della comunicazione, sperimentando la possibilità di traslare la struttura della lingua per analogia a quella audio-spazio-visiva”, mentre il secondo riguardava l’azione concreta e l’intervento etico-politico e politico-culturale più diretto nel sociale. “In quegli anni” – come ricorda lo stesso Luigi Pezzato in una nota scritta – “il tema della morte dell’Arte” era stato, ormai, “più che sviscerato”, “permettendo di raggiungere dimensioni che spalancavano nuove prospettive all’operatore culturale”. La prospettiva e/o l’angolo visuale scelto dal collettivo e dal gruppo fu, in particolare, la coscienza dell’equiparazione ARTE = VITA, vera e propria “bandiera attorno a cui il gruppo prese ad operare”. In un manifesto del 25 marzo 1974, dal titolo “Per il recupero della realtà come totalità concreta”, il programma del Collettivo era esposto, nel caratteristico linguaggio ideologizzato dell’epoca, in modo molto chiaro: “Gli ultimi movimenti di avanguardia hanno identificato l’arte con la vita stessa riducendo così a zero la frattura tra lavoro intellettuale e manuale. Sono il contadino nei campi, l’operaio nelle fabbriche, lo studente nelle scuole i veri artefici della società, non di quella attuale, però, nella quale essi operano da sfruttati… ma di quella nuova società comunista appunto per la quale si adopera il sindacato attraverso le proprie lotte e rivendicazioni.” Numerose e variegate furono le azioni di denuncia e gli interventi che il Collettivo Presenza e Vigilanza organizzò in quegli anni con manifesti, performance e pubbliche azioni contro tutti coloro i quali, in nome di una “artisticità presunta” e per conto di comitati, associazioni e/o organizzazioni sindacali di categoria, “organizzavano mostre e manifestazioni con lo scopo reale di acquisire nuove aree di potere nella struttura della nascente Regione Campania”. In una pagina autografa della sua breve autobiografia, Luigi Pezzato ricordava come una caratteristica fondamentale della sua attività culturale negli anni dal 1974 al 1977 fosse proprio l’allargamento della “incidenza delle sue azioni nell’ambito del sociale”. Dopo essersi autodefinito come uno dei “più accaniti promotori del C.P.V.” egli ribadiva come il Collettivo Presenza e Vigilanza avesse lo “scopo principale di moralizzare e respingere l’attacco convergente che la critica ‘interessata’ con l’appoggio di non pochi faccendieri promuove per ‘donare’ alla capitale del mezzogiorno la galleria regionale d’Arte Moderna”. “Uno dei compiti che il C.P.V. ritenne prioritario” – scriveva, infatti, Luigi Pezzato a conclusione della sua breve nota - “fu quello di intervenire in tutte le occasioni che si presentavano particolarmente mistificatorie, denunciando all'opinione pubblica” le manovre più “speculative e culturalmente arretrate”; “compito che si riallacciava idealmente al filo rosso che passa per alcuni aspetti delle avanguardie storiche fino ad accostare e percorrere i presupposti impliciti delle azioni nel sociale del movimento situazionista.” Il prezzo da pagare per tale azione di aperta e radicale contestazione fu, tuttavia, piuttosto alto. “La lotta di quegli anni condotta a viso aperto” – ricordava con un po’ d’amarezza Luigi Pezzato – gli fruttò, infatti, “l’alienazione dei critici che si vendicarono ritirando opportunamente (come usano fare i gestori del potere borghese) il loro appoggio e radiandolo dalle successive ristampe di collane d’Arte”. Furono anni convulsi, confusi, contraddistinti da estremismi ideologici e repentine e spesso caotiche trasformazioni, che lo indussero poi, riflettendo con attenzione sui fatti, ad una nuova consapevolezza critica e, infine, ad approdare sul finire del 1977, con la sua ricerca, all’AGRICOLARTE o ARTE DEL BISOGNO, “eleggendo un campo situato sui monti Aurunci a luogo nel quale condurre ricerche parallele per il recupero dei gesti primordiali alle necessità dell’uomo”. Avevano così inizio una nuova fase di vita e una nuova esperienza artistica, (il movimento Agricolarte o Arte del Bisogno era “in sintesi” “Arte della Vita”), che Luigi Pezzato stesso definì inizialmente come “un periodo felice” in cui “il momento espressivo” tornò a fare di nuovo “corpo unico con il concetto da comunicare” ricomponendo e “ricongiungendo quel cerchio che era rimasto interrotto dal 1966”.

mercoledì 12 agosto 2015

L'ultimo messaggio: "Ci rivedremo presto e saremo felici"!

L’ultimo e brevissimo messaggio autografo di Aldo Pezzato, indirizzato alla madre (Carmela Coppola), dal Carcere di Piedimonte d’Alife, in data 11 ottobre 1943, qualche giorno prima di morire. "Carissima mamma, ti ringrazio per le 200 lire inviatemi che mi erano di bisogno. Mi fa piacere sapervi tutti bene, come assicuro di noi lo stesso. Avverti le signorine Zampella che scrivessero, perché il padre e il figlio desideravano un loro scritto. Ci rivedremo presto e saremo felici. Ti abbraccio e ti bacio insieme a Maria, Elena e Gino. Aldo Pezzato."

giovedì 30 luglio 2015

Mio fratello Aldo diciottenne

“Reduci da San Salvatore Telesino, dove eravamo stati ospitati affettuosamente da mio zio, fratello di mia madre …e mio fratello Aldo diciottenne insieme ad altri quattro coetanei veniva di lì a poco trucidato dai tedeschi in ritirata.” (Da Luigi Pezzato, note autobiografiche manoscritte). Alcune foto sono tratte dal Dossier storico, allegato al bellissimo racconto, scritti entrambi da Emilio Bove, "L'ultima notte di Bedò", Benevento, Vereja Edizioni, 2009.

martedì 28 luglio 2015

Agricoltura biologica naturale per un turismo della salute nei Monti Aurunci: una breve intervista a Luigi Pezzato del 1986

Da "Il Messaggero", 9 maggio 1986. Primo corso di formazione all’agricoltura biologica naturale ed alla pastorizia nel Sud Pontino, promosso dalla cooperativa “Agricolarte” di Maranola, e Convegno del 10 maggio 1986 su “Agricoltura biologica naturale per un turismo della salute nei Monti Aurunci”.
Alla domanda del giornalista Sandro Gionti “Qual è lo scopo di tutte queste iniziative?”, Luigi Pezzato, nella funzione che allora ricopriva di presidente della Cooperativa Agricolarte di Maranola, rispondeva: “L’obiettivo è quello di recuperare strutture ed infrastrutture produttive esistenti nel territorio collinare montuoso, già facenti parte del pre-industriale, di un’economia fiorente e genuina, ed oggi capaci, se opportunamente sostenute, potenziate ed integrate alle conoscenze scientifiche attuali, di produrre alimenti sani per la salute dell’uomo e dell’ambiente, per una richiesta dalle città che si va facendo sempre più pressante e, perciò, vantaggiosa per la produzione e commercializzazione di tali prodotti. I pastori-contadini delle zone interne fino ad oggi estromessi dalla maglia produttiva, dall’agricoltura intensiva e dal consumismo hanno visto l’emarginazione, le vessazioni, le prevaricazioni e la maggior parte è stata costretta all’espatrio. Oggi, quei pochi rimasti e molti giovani aperti alle nuove problematiche hanno deciso di rimboccarsi le maniche avviandosi verso attività produttive integranti il guadagno materiale con quello morale per la difesa della salute dell’uomo e dell’ambiente, oggi tanto degenerata e compromessa”.

domenica 26 luglio 2015

La seconda edizione del Premio “Michele Muro”: l'Operazione Agricolarte

Al termine di tre giorni di dibattiti, mostre ed iniziative varie, dal 2 al 5 gennaio 1982, le manifestazioni di “Obiettivo sull’ambiente”, organizzate dalla Lega per l’Ambiente e dall’Associazione Metropolitana, con il patrocinio del quotidiano “Paese Sera”, si conclusero in una gremita Sala dei Congressi di Castel dell’Ovo a Napoli, con la consegna ufficiale dei riconoscimenti per la seconda edizione del Premio “Michele Muro”. Intitolato al redattore sportivo de L’Unità, morto nel 1978 per una trombosi cerebrale all’età di appena 55 anni, il Premio intendeva assegnare non solo a personaggi dello sport, ma anche ad operatori nel campo della cultura, delle attività sociali e dello spettacolo, un riconoscimento per l’attività svolta ai fini di una migliore “qualità della vita”. A consegnare i premi, sul palco della presidenza, accanto al capo-cronista di << Paese Sera>> Matteo Cosenza ed all’amministratore del giornale Gennaro Pinto, c’erano anche l’assessore provinciale all’ecologia Franco Iacono e l’assessore comunale allo sport Giovanni Bisogni, assieme all’avvocato Franco Campana, presidente dell’Associazione Metropolitana. La commissione del Premio scelse di segnalare le seguenti personalità: Luigi Pezzato, “docente dell’Istituto d’Arte, autore dell’operazione AGRICOLARTE, per il suo impegno nella valorizzazione della cultura e della civiltà contadina”; Antonino Drago, docente universitario di Fisica, per il suo contributo “ad una vasta presa di coscienza sui problemi della pace e del disarmo”; Giuseppe Luongo, allora dirigente dell’Osservatorio Vesuviano, per il suo contributo, dopo il terremoto del 23 novembre 1980, “ad una larga informazione di massa sui temi di una corretta gestione del territorio”; padre Ernesto Santucci, animatore dell’Operazione Speranza, per “il reinserimento dei giovani tossicodipendenti”; Carmine e Giuseppe Abbagnale e Giuseppe Di Capua, componenti dell’equipaggio stabiese per la prestigiosa e meritatissima “medaglia d’oro ai mondiali di canottaggio”; Claudio Vinazzani, capitano del Napoli, per il suo “attaccamento ai colori della squadra”; Angelo Sormani, allenatore delle squadre giovanili azzurre, per “il suo amore per lo sport” e il “bagaglio di esperienze che mette a disposizione dei giovani”; Pupella Maggio “perché con la sua grande arte” e “straordinaria umanità” ha contribuito a diffondere, “come pochi altri teatranti”, un’immagine di Napoli “avulsa dai luoghi comuni del sentimentalismo e, per contro, radicata nella verità storica e culturale della sua gente”; Sergio Solli, che con passione ed impegno “si è imposto come una delle più sicure realtà create dalla scuola eduardiana”; Eugenio Bennato, che “con la sua Musica Nova ha rinnovato i suoni della tradizione musicale del Mezzogiorno”; Enzo De Caro, “ex componente della Smorfia” per il “suo primo film che sta riscuotendo notevole successo”; Franco Iacono e Gianni Pinto, rispettivamente assessore provinciale all’ecologia e consigliere comunale, per aver il primo contribuito a realizzare una “più ampia collaborazione tra Ente locale e organizzazioni di base” per migliorare la qualità della vita, e il secondo per aver contribuito a dare dignità alle tradizioni culturali napoletane “con il gemellaggio tra Carnevale veneziano e Piedigrotta partenopea”.
Fonti: Salvatore Manna, “Paese Sera”, 3 gennaio 1982 e 6 gennaio 1982

venerdì 24 luglio 2015

Tra arte gestaltica e arte programmata: due brevi note critiche di Lea Vergine e Filiberto Menna sulla prima mostra personale di Luigi Pezzato alla Modern Art Agency di Lucio Amelio a Napoli

In occasione della prima mostra personale di Luigi Pezzato, allestita dal 10 al 22 dicembre 1966, alla Modern Art Agency di Napoli, nella sede originaria di Parco Margherita, inaugurata nel 1965 da Lucio Amelio quale galleria d’arte “dedicata ai linguaggi e alle pratiche artistiche più sperimentali”, fu pubblicato un piccolo catalogo con fotografie di Luciano Costa. Le foto ritraevano alcuni lavori realizzati da Luigi Pezzato, allora già trentacinquenne: riproduzioni di alcuni oggetti quali, ad esempio, un “oggetto cibernetico con luminosità in funzione dell’aria erogata” del 1965 e un “modulare quadrico” del 1962, un oggetto in materia plastica riprodotto in 1000 esemplari, proprio in occasione della mostra personale, per le Edizioni della Modern Art Agency di Napoli. Una foto di plurime immagini riflesse in uno specchio dello stesso Luigi Pezzato, con alcune scarne annotazioni biografiche, “Luigi Pezzato è nato nel 1931 a Napoli, dove dal 1954 insegna all’Istituto d’Arte”, e un sintetico elenco di partecipazioni a mostre e premi vinti, dal 1951 al 1966, arricchivano il catalogo. A completarlo due brevi schede, redatte dallo stesso artista: la prima – molto tecnica e sintetica - sulle principali proprietà e caratteristiche dell’oggetto cibernetico del 1965 e la seconda, invece, una sorta di vera e propria dichiarazione di intenti sugli scopi della propria indagine sulla realtà fenomenologica e sui propositi della sua ricerca artistica, che senza escludere “una componente ludica” dei suoi oggetti, destinati ad essere fruiti in edifici e luoghi pubblici, ne sottolineava la loro oggettiva esecuzione meccanica, “con processi di carattere iterativo dove ogni fase lavorativa venga tassativamente controllata ed organizzata in modo tale da permettere una vera e propria produzione in serie”. Il “cuore” del catalogo sono le due note critiche di Lea Vergine e Filiberto Menna. Lea Vergine parte dalla premessa che, trattandosi di una prima mostra personale di un autore che non è più “un diciottenne di belle speranze che ha davanti a sé tutta la vita”, ma di “un accanito e paziente ricercatore ormai oltre i trent’anni”, le condizioni e i rischi di “giocarsi una carta sbagliata” e di esporsi traumaticamente alle critiche sono maggiori e particolarmente difficili. “Questo premesso, a solo titolo di buon augurio e di franca solidarietà, - scrive poi la nota critica d’arte – “esaminiamo le cartucce della trincea di Luigi Pezzato” da lei presentato come un “individuo antipartenopeo per eccellenza, solitario, schivo, isolato, noto sino a pochi mesi fa solo come insegnante all’Istituto d’Arte di Napoli”. Lea Vergine riconosce, tuttavia, come sia ormai in realtà già da “parecchio, comunque, che Pezzato costruisce, disfa e riprova nel suo laboratorio al Calascione” per approdare ora, con le sue “superfici che riflettono deformate le sagome dei visitatori”, ad una proposta di comunicazione visiva a livello estetico “nell’ambito dei rapporti tra percezione ed illusione”. Lea Vergine colloca tale ricerca di Luigi Pezzato all’interno della “poetica” che “è, per sommi capi, quella gestaltica”. “I suoi oggetti sono la registrazione delle strutture (evidenti e affatto palesi) nelle quali si situa la nostra condizione” di cui Pezzato “tende a darci una realtà di ordine semantico”, tramutando “in entità culturali le entità naturali che manipola”, anche se “a volte i materiali di cui si serve posseggono già di per sé un significato: il cubo, il quadrato, la sfera”. Lea Vergine conclude la sua nota critica osservando come, “al di là di un’auspicabile precisione di rifinitura”, Luigi Pezzato – da lei definito come “il nostro esordiente” – “riesca a stabilire con le sue costruzioni un rapporto di significato”. Filiberto Menna, nel suo contributo critico, parte invece da alcune riflessioni di carattere filosofico ed estetico sul significato serissimo del gioco, un “apparente paradosso” negato dalla cultura imprenditoriale dei “pioneri del capitalismo”, i quali hanno finito per divulgare “un’idea mitica del lavoro” per cui “solo quest’ultimo ha dignità e tanto più se si accompagna allo sforzo, alla fatica e alla pena”, contrapponendola a ciò che si fa “con levità, con gioia, per il puro piacere di farla” che “non è un lavoro, quindi non è una cosa seria”. Filiberto Menna osserva come il “progresso tecnico, liberandoci progressivamente dalla fatica e dai compiti più strettamente meccanici inerenti ad ogni tipo di lavoro, ci libererà anche da quel sillogismo puritano” favorendo sempre di più un’auspicabile “integrazione”, come già suggerito da Rosario Assunto “in suo libro felicissimo di qualche anno addietro”, tra i “due termini del binomio, dell’hobby e del job”, tra libertà ludica e necessità e costrizione del lavoro. Secondo Filiberto Menna alla “base dell’opera di Luigi Pezzato” c’è proprio il gioco inteso in questo modo, nel suo significato più profondo e filosofico, appunto, quale “rapporto tra libertà e necessità” che “racchiude in sé stesso la regola del proprio libero e imprevisto divenire”. I “congegni” costruiti da Pezzato, infatti, “sono programmati con rigore (oltre che realizzati con cura ed estrema pulizia), ma la legge interna che li governa consente alla cosa
di assumere una molteplicità pressoché infinita di forme”. Filiberto Menna iscrive, a tal proposito, l’opera di Pezzato nell’ambito dell’arte programmata. “Come ogni arte programmata, cioè, anche l’opera di Pezzato concilia la regola e il caso, la legge e l’azzardo, e propone se stessa come trattenimento, come spettacolo e gioco nel senso più profondo che possiamo dare a questi termini, ossia come mezzo di liberazione e di riscatto se non dal tragico almeno dal necessario quotidiano”. Filiberto Menna conclude la sua nota sottolineando come l’opera di Pezzato “possiede un’altra caratteristica fondamentale” dell’arte programmata, “ossia la trasferibilità delle sue strutture in ambiti di più vasta portata sociale, in cui “l’oggetto iniziale dell’artista, proprio perché è realizzato in base a dati misurabili e costanti, può rivivere senza perdere la sua struttura fondamentale (anzi, proprio in virtù di essa) in un’opera più complessa” contribuendo così alla “realizzazione di quegli spazi estetici totali cui dovrebbe tendere la collaborazione di artisti, architetti e urbanisti.”

domenica 19 luglio 2015

Le arie concrete e seriali di Luigi Pezzato

Nella mostra personale a lui dedicata dal 15 al 28 maggio 1968, presso la galleria d'arte "Il Bilico" di via Angelo Brunetti 51 a Roma, Luigi Pezzato espose una serie di tubi di plastica gonfiabili. Allineati “uno accanto all’altro come alberi artificiali” – come scrisse il giornalista e critico d’arte Filiberto Menna in una nota pubblicata nel catalogo della mostra – tali “alberi di aria” avevano lo scopo di creare “uno spazio-ambiente capace di sollecitare una risposta psico-sensoriale complessa, vitalmente attivante” nello spettatore, “direttamente coinvolto” e indotto a partecipare non soltanto specchiandosi “in una superficie deformante” o “mettendo in moto un congegno programmato”, ma entrando in prima persona “dentro lo spazio realizzato dall’artista, esperendone su di sé le sollecitazioni estetiche”. Nello stesso scritto Filiberto Menna ricordava come “i tubi in plastica gonfiabili realizzati recentemente da Pezzato” fossero stati “felicemente” definiti da Achille Bonito Oliva come “arie concrete”. Nello stesso catalogo della mostra, infatti, Achille Bonito Oliva – nella sua nota critica d’autore – sottolineava come l’opera di Luigi Pezzato tendesse “appunto ad elaborare delle forme concrete che, attraverso dei materiali plastici, riescono a contenere l’aria dello spazio urbano”, realizzando così “uno spazio elastico” dilatabile non solo in orizzontale, attraverso le oscillazioni dei tubi gonfiabili, ma anche in verticale grazie allo “spazio continuamente occupato dalle arie concrete resistenti nelle colonne in plastica.” Achille Bonito Oliva definiva tali strutture anche con il termine di “arie seriali” in quanto disposte in forme di “eguale spessore e dimensione”. Lo spettatore – concludeva il critico d’arte – con la sua presenza “continuamente modifica la struttura elastica dell’insieme, sia attraverso un suo spostamento orizzontale all’interno del percorso e sia attraverso la manomissione in verticale di queste arie concrete accampate nello spazio reale”.

venerdì 17 luglio 2015

En imponerende skulptur...af den napolitanske kunstner Luigi Pezzato

Ancora oggi, a Copenaghen in Danimarca, situata in Lersø Parkallé, si trova un'imponente scultura dell'artista napoletano Luigi Pezzato.
Essa fa ora parte del KØS Denmark’s museum, originariamente costituito nel 1977 e dedicato all’arte negli spazi pubblici. Come ricorda lo stesso Luigi Pezzato, in alcune brevi note autobiografiche manoscritte, nel 1969 "la Olivetti di Copenaghen mi commissionò un morfofonema, selezionato dalla ricerca Per uno spazio a mobilità totale. ” Si trattava di una Spazio-Struttura in acciaio inox speculare, progettata e realizzata per la sede che l’Olivetti aveva all’epoca a Copenhagen. “Il 10 gennaio 1970, con la soddisfazione di tutti, fu inaugurata” - così scrive Luigi Pezzato – “La bellissima spazio-struttura in acciaio inox speculare esprimeva rigore matematico di giorno” mentre “di notte le luci del traffico circostante l'accendevano di dinamica fantasmagorica".

Luigi Pezzato alla Modern Art Agency

In una nota, pubblicata su “Il Mattino” di Napoli del 14 dicembre 1966, con il titolo “Alcune mostre napoletane all’inizio della stagione”, il critico d’arte Filiberto Menna – dopo aver espresso la propria gratitudine nei confronti di Lucio Amelio, proprietario e direttore della “Modern Art Agency”, per il “significato più attivamente culturale” della sua funzione di mercante d’arte “nella generale involuzione culturale che sta coinvolgendo in questo inizio stagionale le gallerie d’arte napoletane” - così scrive di Luigi Pezzato. Senza voler naturalmente “qui dare un’importanza maggiore di quella che effettivamente ha alla mostra inaugurale della Modern Art Agency e all’opera di Luigi Pezzato” “non si può non rilevare come questo giovane artista abbia saputo impostare un discorso molto chiaro e rigoroso” pur “muovendo dallo stesso ambiente in cui altri non riescono ad andare oltre la ripresa di vecchi motivi folkloristici, conditi con la nuova salsa neo-figurativa”. A giudizio di Filiberto Menna, infatti, “Le opere di Pezzato sono invece pensate e realizzate con rigore, sulla base di regole stabilite in precedenza, ma nello stesso tempo conservano un ampio margine di imprevisto proprio in virtù di un programma che vuole conciliare i termini opposti della norma e del caso.” Per tali motivazioni Filiberto Menna iscrive, pertanto, l’opera di Luigi Pezzato “nell’ambito della poetica dell’arte programmata” in quanto propone se stessa “come trattenimento, come spettacolo e come gioco nel senso più profondo che possiamo dare a questi termini, ossia come mezzo di liberazione e di riscatto dall’usura e dalla banalità del quotidiano”. Filiberto Menna conclude la sua nota, prima di occuparsi brevemente del pittore napoletano Stefanucci e di Bruno Starita, osservando che l’opera di Luigi Pezzato possiede anche “un’altra caratteristica fondamentale” dell’arte programmata, “ossia la trasferibilità delle sue strutture in ambiti di più vasta portata sociale, quali l’architettura e l’urbanistica”.

Prima retrospettiva dell'artista Luigi Pezzato

Domenica 19 luglio 2015, dalle 19.30 alle 21.30, a Maranola di Formia, in via S. Antonio Abate, sarà inaugurata la prima retrospettiva dedicata all'artista Luigi Pezzato (1931-1993). L'iniziativa, organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Formia, dall'Associazione Culturale "Maranola Nostra" e dalla rete di associazioni "Salamandrina",si protrarrà fino al 2 agosto 2015, nelle serate di giovedì, venerdì, sabato e domenica, sempre dalle ore 19.30 alle ore 21.30.

Luigi Pezzato. Note biografiche a cura di Aldo e Antonella Maiorano

Luigi Pezzato, scultore e pittore, ideatore e fondatore del movimento Agricolarte, nasce a Napoli il 10 Maggio 1931, da Leone Pezzato e Coppola Carmela. All’età di 12 anni, perde il padre, per una broncopolmonite, e il fratello Aldo, trucidato dai soldati tedeschi in ritirata, nell’ottobre del 1943 a San Salvatore Telesino (BN), dove la famiglia si era rifugiata presso alcuni parenti per sfuggire ai bombardamenti sulla città di Napoli. Frequenta l’Istituto d’Arte di Napoli dal 1947 conseguendo prima la Licenza del Corso Superiore dell’Istituto Statale d’Arte di Napoli – Sezione “Arte dei Metalli” e, successivamente, nell’anno scolastico 1953-1954, il Diploma di Abilitazione all’insegnamento artistico “Arte dei Metalli” negli Istituti e Scuole d’Arte. Dal 13 Ottobre 1954 presta servizio in qualità di aiuto-laboratorio nella Sezione Metalli dell’Istituto d’Arte di Napoli, riportando la qualifica di Ottimo per il servizio ininterrottamente prestato negli anni scolastici 1954-1955, 1955-1956, 1956-1957, 1957-1958 fino al 31 Marzo 1959, data in cui tale incarico viene a cessare a seguito di dimissioni volontarie. Dall’Ottobre 1959 è insegnante incaricato di Disegno Professionale nella Sezione Metalli dell’Istituto d’Arte di Napoli, dove insegna fino al termine del 1984, anno in cui rassegna le sue dimissioni per motivi di salute. Partecipa, fin dal 1951, con le sue opere a diverse mostre d’arte, nazionali e internazionali, collettive e personali, in gallerie pubbliche e private, per complessive 50 presenze, ricevendo segnalazioni favorevoli sia sulla stampa che in televisione. Hanno scritto di lui 25 critici d’arte, tra i quali Lionello VENTURI, Filiberto MENNA, Achille BONITO OLIVA, Lea VERGINE, Giorgio DE MARCHIS, Nino MASSARI, Angelo TRIMARCO, CASTELLANO (Luca), Tommaso TRINI, Topazia ALLIATA, Giusi BENIGNETTI, Lara V. MASINI, Maria PADULA, Paolo RICCI, Vittorio RUBIN, Arturo BOVI, Giuseppe GATT, Gianni CAVAZZINI, Oscar DA RIZ, Sandro MORICHELLI, Piero GIRACE, Virgilio COLETTI, Vitaliano CORBI, Ciro RUJU, Giorgio TEMPESTI, Gianni CONTESSI , Luciano CARUSO, Maurizio FAGIOLO DELL’ARCO e altri.. Nel 1953 gli viene assegnato il 1° premio per il concorso “La Ricostruzione del Mezzogiorno”, indetto dalla Camera Industria e Commercio di Napoli. Nel 1954 gli viene assegnato il 1° premio “La Precisa”. Ha esposto sue opere alla “IX Triennale di Milano” del 1951, alla “I Rassegna d’Arte Figurativa” di Napoli del 1956, alla “II Biennale Internazionale del Bronzetto” di Padova del 1957, alla Mostra del “Premio d’Arte Figurativa Il Titano” (San Marino) nel 1958, al “Premio del Ministero della Pubblica Istruzione” presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1961, alla “III Mostra Internazionale di Arte Contemporanea” a Capri nel 1962, alla “II Biennale d’Arte del Metallo” a Gubbio nel 1963, alla “III Mostra Nazionale Arte Sport” di Firenze nel 1963, a Palazzo Cerio per il Premio “Selezione Capri” nel 1963, alla “I e II Rassegna Napoli – Campania” nel 1965 e 1966 presso il Padiglione Pompeiano nella Villa Comunale di Napoli, alla Modern Art Agency di Napoli, nel giugno e nel dicembre 1966 (Mostra Collettiva e Personale), alla “II e III Rassegna d’Arte nel Mezzogiorno” di Napoli nel 1967 e 1968. Nel 1967 espone le sue opere alla Galleria “L’Obelisco” di Roma (“La Luce”), alla Libreria Guida di Napoli (“L’oggetto e l’immagine”), alla Mostra itinerante “Strutture organizzate”, alla Fifteen International – La Modern Art Agency al X FESTIVAL DEI DUE MONDI di Spoleto, al XVIII Premio Avezzano “Proposte uno” ad Avezzano (Premiato), alla Mostra “Lido Azzurro” di Torre Annunziata, alla Mostra Internazionale Pittura “Conca Verde” di Massalubrense (Premiato), alla Mostra Collettiva presso la Modern Art Agency di Napoli, alla Mostra “L’ Era Spaziale” presso la Galleria “L’Obelisco” a Roma. Nel 1968 partecipa alla Mostra del Metallo presso la Galleria “Il Cerchio “a Roma, espone alla Galleria Contemporaine Laronge a Geneve, al “Premio Biennale Nazionale di Pittura” a Passignano sul Trasimeno, ad “Arte in Campania – Ricognizione”, alla Mostra Personale alla Galleria Il Bilico a Roma, alla Mostra Collettiva presso la galleria del “Teatro Instabile Napoli (tin)” a Napoli, a 2001 Gavina a Roma, alla Biennale d’Arte del Metallo di Gubbio. Nel 1970 sue opere sono presentate alla Mostra Personale alla “Galleria Oggetto” a Caserta, alla “V Rassegna Grafica Italiana” a Napoli, al “X Concorso Nazionale del Mobile” di Trieste per una “Proposta di metodologia globale della progettazione”, dove vince il primo premio, alla “VI Biennale d’Arte della Ceramica” a Gubbio (premiato per il progetto “Proposta di metodologia globale della progettazione” con medaglia speciale), a “Nuova Tendenza 4”, alla Gallerija Grada di Zagabria. Progetta e realizza una Spazio-Struttura in acciaio inox speculare per la sede della Olivetti di Copenhagen. Nel 1971 partecipa alla Mostra collettiva degli Artisti dello Studio di Arti Visive “Oggetto” a Caserta Vecchia. Suoi lavori di pittura e scultura si trovano presso collezionisti privati ed Enti Pubblici, quali l’Ente Provinciale Turismo e la Camera di Commercio di Napoli, … Altri suoi lavori si trovano presso la Cappella Alunnato nella Basilica di San Paolo a Roma, presso l’altare maggiore della Chiesa M. S. del Carmine al quadrivio di Arzano (Napoli) e presso la Chiesa S. Trofimena a Minori in provincia di Salerno, (Via Crucis in bronzo). Dal 1969, entrato in contestazione con i canali propri del mercato dell’arte e con il circuito della mercificazione, riacquistando libertà di azione e di riflessione, trasferisce la sua ricerca nell’ambito della scuola con alterna fortuna. Dal 1973 al 1977, allargando l’incidenza delle sue azioni nell’ambito sociale, fu tra i promotori del Collettivo Presenza e Vigilanza (C. P. V.) – Lavoratori della Scuola – Regione Campania, per il “recupero della realtà come totalità concreta”. ARTE = VITA. Approda, infine, nel 1977 all’Agricolart, poi Agricolarte o Arte del bisogno, che ha per marchio una Falce e Cavolo del 1980. Operando all’interno del binomio superfluo/necessario, elesse un campo, acquistato incolto in località Filetto di Maranola sui Monti Aurunci a 850 metri d’altezza, quale luogo in cui condurre ricerche parallele per il recupero dei gesti primordiali alle necessità dell’uomo, riproponendo spazio/strutture vegetali ed animali nel processo del biologico-naturale (Contesa ecologica). Qui iniziò a mettere in pratica la coltivazione biologica. La filosofia di Agricolarte o Arte del Bisogno muove dalla dicotomia Arte della vita/Arte della Morte. Il primo manifesto del 1980 recita: “Agricolarte o Arte del Bisogno è figlia legittima della società odierna, nasce dal vuoto prodotto dall’alienazione dei falsi bisogni indotti dalla logica del superfluo, propria dell’economia consumistica e viaggia verso il recupero del necessario ai bisogni della vita dell’uomo e dell’ambiente” con l’obiettivo della “Ri-conquista del pianeta Terra e della riappropriazione dei modi e dei mezzi di produzione da parte di una nuova classe di operatori culturali coscienti e in lotta per il ripristino nelle campagne del processo biologico-naturale, per la produzione di attività agro-alimentare sana, non inquinante e quindi preventiva di malattie cosiddette da civilizzazione (cancro, tumori, leucemie…) atte a favorire la buona salute dei consumatori e a preservare l’ambiente per le future generazioni. Dalla morte dell’arte (Hegel) all’affermazione dell’Arte = Vita, l’Agricolarte si propone di restituire alle comunità agricole, ai pastori e contadini, ai loro luoghi la coscienza di essere “autentici produttori di economia privilegiata operanti per vocazione nel rispetto dell’ambiente naturale, autentici artisti della vita operanti in autentiche gallerie di arte concreta, le zone interne ancora intatte e incontaminate. Nel periodo Luglio-Settembre 1981 presentò strutture audio-spazio-visive-olfattivo-gustative vegetali ed animali. Allestì nel 1981, con la 17° Comunità Montana dei Monti Aurunci, nel quadro delle promozioni già intraprese nel comprensorio per il recupero di un’economia privilegiata fondata sulla pastorizia, sull’agricoltura biologico-naturale e sull’artigianato derivato da tali attività, la 1° Esposizione di “Energia dal sole – Economia privilegiata” per attirare l’attenzione sulle potenzialità dell’energia solare e dell’agricoltura biologica. Fu l’organizzatore del Convegno sullo stesso tema, il 28-29 Novembre 1981 presso l’Hotel S. Egidio di Castelforte – Suio Terme, cui parteciparono noti esponenti della politica e della cultura ambientalista italiana, tra cui Giannozzo Pucci, Antonino Drago, Nico Valerio. Nel 1982, con la pubblicazione del Primo Calendario Agricolarte – Maranola di Formia (LT), fu l’autore del Manifesto dal titolo “Per una nuova dimensione estetica, per un turismo del bisogno o della salute” e fondatore della Cooperativa di produzione Agricolarte a r. l. di Maranola, di cui fu anche Presidente fino alle sue dimissioni nel 1985. Sempre nel 1982, nel mese di gennaio, gli viene assegnato il Premio “M. Muro”, giunto alla sua seconda edizione, presso Castel dell’Ovo a Napoli da Lega Ambiente, per il suo impegno nella valorizzazione della cultura e della civiltà contadina. Il 25 Maggio 1985, presso la Galleria d’Arte “Il magazzino del sale” di Viareggio, nell’ambito del “1° Premio di arti visive Città di Viareggio”, riceve il Diploma di Menzione Speciale con Medaglia e un premio speciale sezione tecnica mista per l’Agricolarte. Nel Maggio del 1986 promuove, a nome della Società Cooperativa Agricolarte A.R.L. con sede a Maranola (LT). il 1° Corso di Formazione all’Agricoltura Biologica Naturale e alla Pastorizia nel Sud Pontino per un turismo della salute nei Monti Aurunci e il Convegno “Alimentazione biologica naturale per un turismo della salute nei Monti Aurunci, con relatori quali Nico Valerio, Fernando Di Jeso, Gino Girolomoni di Alce Nero, Giannozzo Pucci e Luciano Picchiai, organizzando altresì a Maranola la 1° Sagra paesana di cocuzza e fasugli, con manifestazioni di musica popolare, una mostra documentario sulle tecniche agricole e artigianali con proiezione di diapositive, anche allo scopo di costituire un “Centro di testimonianza degli usi e dei costumi locali”. Pubblica nel 1986 il secondo Calendario Agricolarte - Maranola di Formia (LT). Purtroppo gli ultimi anni della sua vita, già compromessi da problemi di salute (un diabete insulino-dipendente dal 1970 al 1985, una fibrillazione atriale) furono consumati inesorabilmente dalla dialisi - dal 1991 al 1993 - ponendo fine ai suoi progetti e ai suoi sogni. Morì il 21 Agosto 1993, a soli 62 anni, nell’ospedale di Formia, in un caldo pomeriggio d’estate. I suoi resti riposano nel piccolo cimitero di Maranola, ai piedi della Cima del Redentore e dei Monti Aurunci, tra il suo mare, lungo il litorale da Minturno, Scauri, Gianola, Santo Janni, Formia, Gaeta fino a Sperlonga e le sue montagne. Nella casa medioevale di Maranola, da lui acquistata e con amore e passione ristrutturata, c’è ancora sua moglie, Emilia Teresi in Pezzato, a custodire opere, documenti e ricordi. PUBBLICAZIONI: Catalogo Biennale Venezia – 1968 Corriere della Campania – RAI Art International - volume X/7 – settembre 1966 (pag. 32) Collana dell’Arte Moderna – Fratelli Fabbri Editori – Volume 38 – “Arte cinetica e visuale” (pagg. 202-239) Dizionario Biografico dei Meridionali – Napoli Storia di Napoli Volume X – Pittura e Scultura dal 1850 – (pag. 388 citato da Vitaliano CORBI) Design e Forme Nuove – Annuario 1976 L’Avanguardia a Napoli. Documenti 1945-1972, a cura di Luciano CARUSO e di Pietro P. Daniele 3 Settembre 2009 A cura di Aldo e Antonella Maiorano https://www.facebook.com/pages/Luigi-Pezzato-Agricolarte/750217441756370

Agricolarte o Arte del bisogno

“Agricolarte o Arte del Bisogno è figlia legittima della società odierna, nasce dal vuoto prodotto dall’alienazione dei falsi bisogni indotti dalla logica del superfluo, propria dell’economia consumistica e viaggia verso il recupero del necessario ai bisogni della vita dell’uomo e dell’ambiente” con l’obiettivo della “Ri-conquista del pianeta Terra e della riappropriazione dei modi e dei mezzi di produzione da parte di una nuova classe di operatori culturali coscienti e in lotta per il ripristino nelle campagne del processo biologico-naturale, per la produzione di attività agro-alimentare sana, non inquinante e quindi preventiva di malattie cosiddette da civilizzazione (cancro, tumori, leucemie…) atte a favorire la buona salute dei consumatori e a preservare l’ambiente per le future generazioni. Dalla morte dell’arte (Hegel) all’affermazione dell’Arte = Vita, l’Agricolarte si propone di restituire alle comunità agricole, ai pastori e contadini, ai loro luoghi la coscienza di essere “autentici produttori di economia privilegiata operanti per vocazione nel rispetto dell’ambiente naturale, autentici artisti della vita operanti in autentiche gallerie di arte concreta, le zone interne ancora intatte e incontaminate."
(Luigi Pezzato)