sabato 15 agosto 2015

Mio zio Aldo, mia nonna Carmela ed io: una pagina di diario della metà degli anni ‘90

Mio zio Aldo non l’ho mai conosciuto di persona. Era nato a Napoli il 25 agosto 1925 e morto a Faicchio il 14 o 15 ottobre 1943, trucidato ferocemente dai soldati tedeschi in ritirata, insieme ad alcuni compagni di sventura, tutti ritrovati crivellati di colpi, nella piccola cappella campestre di San Francesco a Faicchio, forse soltanto a poche ore e ad appena qualche centinaia di metri dalla Salvezza. Quando nacqui io, il 4 luglio 1957, insieme ai nomi dei miei due nonni Leone (materno) ed Eduardo (paterno), mia madre e mio padre scelsero, però, di darmi il suo come primo nome. Ancora oggi, perciò, mi chiamo e mi chiamano Aldo e di mio zio conservo tuttora vivissimo il ricordo, in larga parte tramandatomi – nonostante tutto - proprio da mia nonna Carmela Coppola in Pezzato. Mi piaceva moltissimo ascoltare dalla sua viva voce, quando ero ancora soltanto un ragazzino, i suoi racconti sull’ultima grande guerra mondiale. Mi affascinava sentirla parlare di quel mondo e di quelle storie così grandi e terribili e che lei aveva vissuto in prima persona. Dei bombardamenti sulla città di Napoli, degli allarmi aerei notturni, delle corse affannose e angosciose nei rifugi sotterranei e della scelta, infine, di rifugiarsi a San Salvatore Telesino, insieme a tante altre famiglie napoletane, sfollate nell’entroterra beneventano per sfuggire alle bombe. E del mio nonno materno e suo marito Leone, morto pochi giorni prima di mio zio Aldo e della forza d’animo, del coraggio e della fatica con cui lei, oramai vedova e sola, lavorando come sarta, aveva poi portato avanti tutta la sua famiglia con i quattro figli rimasti: Antonio, Luigi o zio Gigi, Maria ed Elena, la più piccola, mia madre. Mi commuovevo quando la sentivo cantare “Vecchio scarpone” o “Lazzarella” con quella sua voce ancora limpida e squillante nonostante l’età o raccontare, con una voce strozzata dal pianto soffocato e dalla tristezza dei ricordi, delle bucce dei piselli o delle patate che erano tutti costretti a mangiare in mancanza di meglio. Mi piaceva sentirla parlare di quella grande e bella casa con terrazzo e giardino pieno di piante e di fiori, palazzo di proprietà di Mario Herb e del suo stabilimento di orticoltura, presso il quale lavorava e viveva mio nonno con tutta la famiglia, in via Trivio, a pochi passi da piazza Carlo III a Napoli, ed in cui anch’io ero nato e poi, dopo il terremoto del ’62 e l’abbattimento del palazzo, della necessità di lasciarla per trasferirsi all’Arenella, in via Pietro Castellino, 91. Di mio zio e di suo figlio Aldo, tuttavia, non parlava quasi mai con prontezza, né con dovizia di particolari e dettagli. Io la tempestavo di domande, di richieste di spiegazioni, di perché e di per come, la sollecitavo a darmi notizie più precise…ma senza molto successo. Ricordo ancora distintamente la sua reazione abituale: “Ah” – sospirava – “povero Alduccio! Tanto, troppo tempo è passato…A che serve parlarne ancora?”. Erano i primi anni settanta e, a distanza di ormai circa 30 anni da quei tragici e drammatici eventi di quel maledetto 0ttobre del 1943, le riusciva ancora così difficile, insopportabile, doloroso quasi intollerabile rievocarne la memoria. Io riuscivo a comprendere lo strazio che aveva provato da madre e che ancora provava e tuttavia, un po’ sadicamente, insistevo, ma riuscivo a strapparle solo qualche accenno, qualche vago ricordo e qualche sofferta e laconica frase, ma poco di più. Solo pochi, scarni dati biografici, qualche foto, un santino e quella lettera con quell’auspicio non realizzatosi e quella promessa non mantenuta: “Carissima Mamma, ti ringrazio per le 200 lire che mi erano di bisogno. Mi fa piacere sapervi tutti bene come ti assicuro di noi lo stesso…Ci rivedremo presto e saremo felici. Ti abbraccio e bacio insieme a Maria, Gino ed Elena. Aldo Pezzato”. Tutto qui? Possibile che non si potesse sapere altro? Chi era Aldo Pezzato, mio zio? Come si erano davvero svolti quei tragici fatti? Per molti anni queste domande mi hanno spesso tormentato e hanno alimentato nel tempo, rendendo
quasi insaziabile proprio perché mai del tutto saziata, la mia curiosità. Forse solo ora, a distanza di circa vent’anni dalla morte di mia nonna a Formia nel luglio del 1975, solo ora – dicevo – mi rendo pienamente conto di come anche il suo esempio di vita e tutti i suoi racconti abbiano segnato la mia infanzia e adolescenza, comunque, notevolmente contribuendo a formare il mio carattere e la mia personalità. Aldo Maiorano, 1995

Dal Collettivo Presenza e Vigilanza alla nascita dell’Agricolarte o Arte del Bisogno

Dal Collettivo Presenza e Vigilanza alla nascita dell’Agricolarte o Arte del Bisogno 1974-1977: gli anni dell’impegno sociale. Luigi Pezzato fu uno dei principali promotori ed esponenti del “Collettivo Presenza e Vigilanza dei Lavoratori della Scuola - Regione Campania”, costituitosi a Napoli sul finire dell’anno 1973 ed attivo sul territorio fino al 1977, con l’obiettivo dichiarato di finalizzare la propria attività di ricerca-azione al “recupero della realtà come totalità concreta”. A tale scopo il gruppo, inizialmente formato da operatori culturali provenienti dalla “cosiddetta area artistica”, quali – ad esempio – Pezzato, Salier, Frallicciardi, Rossi, Volpe, Giuliano, Alamaro, Iadarola, Altieri, Parente, ecc. – cui si aggiunsero ed “affiancarono altri lavoratori provenienti da differenti ambiti”, scelse di operare sostanzialmente su due piani. Il primo “riguardava la ricerca nel campo della comunicazione, sperimentando la possibilità di traslare la struttura della lingua per analogia a quella audio-spazio-visiva”, mentre il secondo riguardava l’azione concreta e l’intervento etico-politico e politico-culturale più diretto nel sociale. “In quegli anni” – come ricorda lo stesso Luigi Pezzato in una nota scritta – “il tema della morte dell’Arte” era stato, ormai, “più che sviscerato”, “permettendo di raggiungere dimensioni che spalancavano nuove prospettive all’operatore culturale”. La prospettiva e/o l’angolo visuale scelto dal collettivo e dal gruppo fu, in particolare, la coscienza dell’equiparazione ARTE = VITA, vera e propria “bandiera attorno a cui il gruppo prese ad operare”. In un manifesto del 25 marzo 1974, dal titolo “Per il recupero della realtà come totalità concreta”, il programma del Collettivo era esposto, nel caratteristico linguaggio ideologizzato dell’epoca, in modo molto chiaro: “Gli ultimi movimenti di avanguardia hanno identificato l’arte con la vita stessa riducendo così a zero la frattura tra lavoro intellettuale e manuale. Sono il contadino nei campi, l’operaio nelle fabbriche, lo studente nelle scuole i veri artefici della società, non di quella attuale, però, nella quale essi operano da sfruttati… ma di quella nuova società comunista appunto per la quale si adopera il sindacato attraverso le proprie lotte e rivendicazioni.” Numerose e variegate furono le azioni di denuncia e gli interventi che il Collettivo Presenza e Vigilanza organizzò in quegli anni con manifesti, performance e pubbliche azioni contro tutti coloro i quali, in nome di una “artisticità presunta” e per conto di comitati, associazioni e/o organizzazioni sindacali di categoria, “organizzavano mostre e manifestazioni con lo scopo reale di acquisire nuove aree di potere nella struttura della nascente Regione Campania”. In una pagina autografa della sua breve autobiografia, Luigi Pezzato ricordava come una caratteristica fondamentale della sua attività culturale negli anni dal 1974 al 1977 fosse proprio l’allargamento della “incidenza delle sue azioni nell’ambito del sociale”. Dopo essersi autodefinito come uno dei “più accaniti promotori del C.P.V.” egli ribadiva come il Collettivo Presenza e Vigilanza avesse lo “scopo principale di moralizzare e respingere l’attacco convergente che la critica ‘interessata’ con l’appoggio di non pochi faccendieri promuove per ‘donare’ alla capitale del mezzogiorno la galleria regionale d’Arte Moderna”. “Uno dei compiti che il C.P.V. ritenne prioritario” – scriveva, infatti, Luigi Pezzato a conclusione della sua breve nota - “fu quello di intervenire in tutte le occasioni che si presentavano particolarmente mistificatorie, denunciando all'opinione pubblica” le manovre più “speculative e culturalmente arretrate”; “compito che si riallacciava idealmente al filo rosso che passa per alcuni aspetti delle avanguardie storiche fino ad accostare e percorrere i presupposti impliciti delle azioni nel sociale del movimento situazionista.” Il prezzo da pagare per tale azione di aperta e radicale contestazione fu, tuttavia, piuttosto alto. “La lotta di quegli anni condotta a viso aperto” – ricordava con un po’ d’amarezza Luigi Pezzato – gli fruttò, infatti, “l’alienazione dei critici che si vendicarono ritirando opportunamente (come usano fare i gestori del potere borghese) il loro appoggio e radiandolo dalle successive ristampe di collane d’Arte”. Furono anni convulsi, confusi, contraddistinti da estremismi ideologici e repentine e spesso caotiche trasformazioni, che lo indussero poi, riflettendo con attenzione sui fatti, ad una nuova consapevolezza critica e, infine, ad approdare sul finire del 1977, con la sua ricerca, all’AGRICOLARTE o ARTE DEL BISOGNO, “eleggendo un campo situato sui monti Aurunci a luogo nel quale condurre ricerche parallele per il recupero dei gesti primordiali alle necessità dell’uomo”. Avevano così inizio una nuova fase di vita e una nuova esperienza artistica, (il movimento Agricolarte o Arte del Bisogno era “in sintesi” “Arte della Vita”), che Luigi Pezzato stesso definì inizialmente come “un periodo felice” in cui “il momento espressivo” tornò a fare di nuovo “corpo unico con il concetto da comunicare” ricomponendo e “ricongiungendo quel cerchio che era rimasto interrotto dal 1966”.

mercoledì 12 agosto 2015

L'ultimo messaggio: "Ci rivedremo presto e saremo felici"!

L’ultimo e brevissimo messaggio autografo di Aldo Pezzato, indirizzato alla madre (Carmela Coppola), dal Carcere di Piedimonte d’Alife, in data 11 ottobre 1943, qualche giorno prima di morire. "Carissima mamma, ti ringrazio per le 200 lire inviatemi che mi erano di bisogno. Mi fa piacere sapervi tutti bene, come assicuro di noi lo stesso. Avverti le signorine Zampella che scrivessero, perché il padre e il figlio desideravano un loro scritto. Ci rivedremo presto e saremo felici. Ti abbraccio e ti bacio insieme a Maria, Elena e Gino. Aldo Pezzato."