venerdì 11 ottobre 2024

Diario delle giornate di deportazione. Un diario anonimo sul rastrellamento e la deportazione della popolazione di San Salvatore Telesino in provincia di Benevento da parte dei soldati tedeschi nell'ottobre del 1943

Pubblicato nel mese di ottobre 2022 da Fiori di Zucca Edizioni per conto dell’Istituto Storico del Sannio Telesino (Quaderno di cultura n.3), il “Diario delle giornate di deportazione, con note introduttive e approfondimento storico a cura di Emilio Bove, è il resoconto del rastrellamento e della deportazione della popolazione civile, di età compresa tra i 16 e i 65 anni, di San Salvatore Telesino in provincia di Benevento, da parte dei soldati tedeschi nell’ottobre del 1943. Stampato per la prima volta in forma anonima nell’ottobre del 1944, a distanza di un anno dagli eventi, dalla Tipografia “La Moderna” di Piedimonte d’Alife, il diario è in realtà “attribuibile alla signora Anna Maria Caccavale”, insegnante elementare e moglie di Alfredo Di Luise, uno dei deportati di San Salvatore Telesino, a cui il marito aveva probabilmente confidato e raccontato i particolari della drammatiche vicende che aveva vissuto.
Come scrive il medico e scrittore Emilio Bove, autore di diverse pubblicazioni di carattere storico e autore del bel racconto di successo “L’ultima notte di Bedò” con allegato Dossier, dedicato ai medesimi fatti storici, si tratta dunque di “un diario fortemente attendibile, poiché le notizie in esso riportate provengono da fonti dirette, da coloro che vissero in prima persona quei momenti convulsi che segnarono la popolazione di San Salvatore Telesino”.
Il “Diario delle giornate di deportazione” è opportunamente corredato e arricchito di brevi cenni biografici sull’autrice del Diario stesso, con foto della famiglia “gentilmente concesse dal dott. Giancarlo Di Luise, figlio di Alfredo e di Anna Maria Caccavale”, da brevi note introduttive sul testo e da un inquadramento e approfondimento storico, sempre a cura di Emilio Bove, relativo all’anno cruciale del 1943 in generale e, in particolare, nella Valle Telesina, dall’elenco dei deportati e da una galleria fotografica con riferimenti bibliografici essenziali ma significativi. Il Diario, poco più di una ventina di pagine, inizia all’alba del terribile sabato 9 ottobre 1943 quando, in una giornata cupa e triste, umida e piovosa, quasi “presagio di sventura” di tutte quelle “tragiche giornate dell’autunno 1943”, “i soldati tedeschi armati di fucile mitragliatore, girano le vie del paese frugando casa per casa, allo scopo di rastrellare uomini e ragazzi” e termina il mercoledì 13 ottobre 1943.
In un linguaggio attento a una “puntuale cronaca giornaliera -essenziale ma rigorosa-“ ma non privo di coinvolgimento e tensione emotiva, il testo racconta la cronaca di quei cinque giorni di prigionia e al lettore sembra davvero di riviverli in prima persona attraverso i ricordi e le emozioni dei diretti protagonisti. Particolarmente intensa e coinvolgente l’ultima pagina del diario, forse anche per evidenti ragioni e motivazioni personali di chi scrive, nipote di Aldo Pezzato, uno di quei quattro ragazzi che nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 1943 persero la loro giovane vita trucidati orribilmente dai soldati tedeschi nella piccola cappella di San Francesco a Faicchio.
Eccone la trascrizione quasi integrale, dai toni drammatici e intensi.
“Due giorni dopo l’arrivo dei primi si contano i reduci: siamo 124. Ne mancano 4! Essi sono: Rosario De Leva, Benedetto Bove, Franco Dusmet e Aldo Pezzato. Si attende ancora qualche giorno con ansia angosciosa cercando di stornare il sospetto delle famiglie disperate nel doloroso presentimento e intanto si indaga attivamente. Così si riesce a sapere che nei pressi di Faicchio un contadino ha ritrovato nella cappellino di S. Francesco le salme di alcuni giovani e consegna un portafogli nel quale è la tessera d’identità di Franco Dusmet.
Alcuni volenterosi si recano al luogo indicato e trovano i cadaveri dei quattro giovani, stretti l’uno all’altro nel supremo anelito della morte e poco discosti dal corpo di un vecchio di 70 anni, ucciso con loro.
Scappati con noi dal carcere di Piedimonte d’Alife essi non seguirono la nostra strada e vollero andar da soli per una via più breve, verso le loro case e le loro famiglie. Ma andarono verso la morte. Giunti a Faicchio quando più violenta infuriava la battaglia essi, forse, per sfuggire il pericolo o per nascondersi al nemico, si rifugiarono nella chiesetta, ma non furono risparmiati dalla crudeltà tedesca e trucidati attraverso il cancello a colpi di fucile mitragliatore.
Furono trovati addossati l’uno all’altro uniti nella morte così come erano stati uniti nei giorni della prigionia. Le salme sono subito composte da noi stessi in quattro bare uguali che, allineate su un automezzo americano e avvolte nel tricolore, sfilano lentamente per le vie cittadine accompagnate dal dolore di tutto il popolo.
Nel nostro modesto cimitero assistiamo commossi alla inumazione dei nostri compagni ai quali un tragico destino spezzò la promettente giovinezza.

Ma oggi, più che mai Li ricordiamo. Il loro spirito, sempre presente tra noi, si unisce alla schiera gloriosa dei martiri travolti da un destino atroce.”

domenica 15 settembre 2024

Per l'80° anniversario dell'eccidio di Faicchio

Mi rincresce davvero e mi addolora nel profondo, mai come questa volta, in occasione dell’80* anniversario dell’eccidio di Faicchio, non essere presente di persona. Ci tenevo tantissimo ma un’improvvisa influenza con febbre alta mi ha reso impossibile sia partecipare al convegno organizzato dall’ANPI provinciale di Benevento sia a questa commemorazione. Vorrei solo brevemente e semplicemente ricordare le ultime parole scritte da mio Aldo Pezzato, in data 11 ottobre 1943 e indirizzate alla mamma (la mia cara nonna Carmela) dal carcere di Piedimonte d’Alife: “ Ci rivedremo presto e saremo felici”. Purtroppo non andò così! Non si rividero più e quel sogno di felicità fu per sempre stroncato dalla mitraglia nazista, proprio in questa graziosa chiesetta di campagna, presumibilmente nella notte tra il 13 e il 14 ottobre del 1943. Ricordo di essere stato qui l’ultima volta con mia madre Elena e mia zia Maria, qualche anno prima della loro morte. Per volontà di mia madre porto il nome di mio zio Aldo e ho cercato di fare nel mio piccolo qualcosa per cercare di non far dimenticare la sua tragica vicenda e quella dei suoi giovani compagni. Come recita la lapide qui collocata, si trattò di “un’assassinio inumano e feroce”, rimasto per sempre impunito. Occorre continuare a coltivare memoria e ricordo storico, per dignità e non per odio, per le giovani generazioni e per quelle che verranno, anche in direzione ostinata e contraria, per non smettere mai di “accrescere l’orrore della guerra” e l’amore per la libertà e la giustizia, La storia è purtroppo una maestra di vita in larga parte inascoltata e ciò spiega perché siamo condannati così spesso a ripeterne gli errori e gli orrori. A mio zio Aldo, trucidato a poco più di 18 anni, iscritto all’Azione Cattolica e riconosciuto partigiano in qualità di caduto e vittima civile nella Lotta di Liberazione e ai suoi sfortunati compagni di sventura. Un saluto e un grazie di cuore a tutti i presenti, autorità e semplici cittadini, e un abbraccio particolare a Emilio Bove che a questa vicenda ha dedicato un bellissimo racconto con allegato dossier ricco di foto e documenti storici, dal titolo “L’ultima notte di Bedò”. Per ricordarsi di non dimenticare. Grazie e spero a presto. Aldo Maiorano.