lunedì 23 luglio 2012

Appunti sulla Déclaration pour l’Indépendance de l’Esprit del 1919 e su Romain Rolland, Benedetto Croce e Roberto Bracco

In data 5 agosto 1919 Benedetto Croce annotava nei suoi “Taccuini di lavoro” le seguenti laconiche parole: “Nella mattina, scritta una lettera al Johannet a proposito del manifesto Romain Rolland”. A quale manifesto alludeva il filosofo? Si tratta, senza alcun dubbio, del manifesto redatto da Romain Rolland nel marzo del 1919, col titolo Déclaration pour l’Indépendance de l’Esprit. Romain Rolland, cui nel 1915 era stato conferito il Premio Nobel per la letteratura, lo aveva già spedito, nello stesso mese del 1919, a Rabindranath Tagore, poeta, drammaturgo e filosofo indiano, primo premio nobel letterario non occidentale nel 1913. L’appello, col titolo “Fiére déclaration d’intellectuels”, fu poi pubblicato sul quotidiano francese “L’Hunanité” il 26 giugno 1919 e, alla data del 23 giugno, aveva già ricevuto l’adesione di molti intellettuali europei (tra gli altri, Henri Barbusse, Paul Signac, A. Einstein, Hermann Hesse, Stefan Zweig, Bertrand Russell). Unici due italiani a firmare il manifesto, destinato a mobilitare l’opinione pubblica intellettuale a livello internazionale, furono Benedetto Croce e Roberto Bracco, (Napoli, 10 novembre 1861 – Sorrento, 20 aprile 1943) giornalista, scrittore e drammaturgo, esponente di primo piano del teatro italiano tra Otto e Novecento, perseguitato e condannato all’oblio dal fascismo. Lo stesso Romain Rolland, come risulta dal volume di B. Croce, Epistolario I. Scelta di lettere curata dall’autore 1914-1935, pubblicato a Napoli dall’Istituto Italiano per gli Studi Storici nel 1967, aveva scritto al Croce, in data 3 aprile 1919, “chiedendogli l’adesione al suo manifesto, del quale gli mandava una prima stesura: Un certain nombre d’écrivains , artistes, savants de tous pays, émus de voir se prolonger les passions nationales qui ont sévi, pendant la guerre, parmi les intellectuels, ont conçu le projet de publier, pour réagir sur l’opinion, l’Appel ci-inclus, qui est une sorte de Déclaration d’Indépendance de l’Esprit”. All’invito di Rolland il Croce rispondeva con una lettera, datata Napoli, 9 aprile 1919, pubblicata nel già citato “Epistolario I”, con le seguenti parole: “Ill. mo Signore, Volentieri metto la mia firma al suo nobile appello; ma desidero, perché le siano chiari il senso e i limiti della mia adesione, che Ella scorra il volume che le invio, e che raccoglie tutto quanto mi è accaduto di scrivere durante la guerra. Vi troverà in qualche punto citato anche il suo nome, e accennata la ragione del mio dissenso. Io credo sacra la guerra, ma altrettanto sacra la verità, che non deve essere piegata a strumento di guerra. Gli strumenti di guerra si fanno con altre materie”. Il volume cui il Croce fa riferimento e che invia a Rolland è “Pagine sparse, serie II, Pagine sulla guerra, Napoli, Ricciardi, 1919, successivamente ristampato dall’editore Laterza, nella serie dei suoi “Scritti vari”, col titolo di “L’Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra”. Motivo principale di queste pagine era, come ricorda lo stesso Croce nell’Avvertenza del dicembre 1927, “la difesa del comune patrimonio civile e della comune opera del pensiero e dell’arte tra i contrasti e le lotte politiche e guerresche dei popoli. Congiunta a quel motivo andava l’indignazione contro gli uomini di scienza, che presero allora a falsificare la verità sotto pretesto di servir la patria o il partito politico, ma in effetto per loro piccolezza di mente e bassezza d’animo, e iniziarono quel mal abito, che grava ora dappertutto, e contro il quale è stata testé coniata la formula fortunata della trahison des clercs”. In queste stesse pagine, inoltre, Croce polemizzava anche “contro la concezione astratta o tribunalizia delle cose politiche e in difesa del principio di forza o potenza”, respingendo, tuttavia, “il concetto della forza intesa materialisticamente, e della politica come separata e disparata rispetto all’etica, verso la quale la ponevo al tempo stesso specificata e sottomessa. Per questa ragione ho sempre rifiutato” – scriveva Croce a conclusione della sua Avvertenza – “ogni sorta di statolatria, ancorché si presenti o ripresenti come idea etica dello Stato e si rivesta della confacente rettorica sullo Stato che è il Dovere e che è Dio, e altrettali goffaggini. Rimango anche in questa parte nella tradizione del pensiero cristiano, che dà a Cesare quel ch’è di Cesare, ma sopra a Cesare innalza la coscienza religiosa e morale, la quale solamente eticizza di volta in volta l’azione politica, pur riconoscendone e rispettandone e adoprandone la logica che le è propria”. L’articolata, complessa e dialettica concezione crociana del rapporto tra politica ed etica, il suo storicismo, il suo realismo e l’insofferenza verso ogni forma di astrattismo razionalistico spiegano, dunque, “il senso e i limiti” dell’adesione al “nobile appello” di Romain Rolland e, al tempo stesso, “la ragione” del suo dissenso “con l’autore del Jean-Cristophe, divenuto autore dell’Au-dessus de la mêlée”, (Al di sopra della mischia - 1915), raccolta di articoli pubblicati sul Journal de Genève, e in seguito in volume, caratterizzati da una forte intonazione pacifista e antimilitarista. Così come spiegano qualche accenno polemico di Croce, nelle Pagine sulla guera”, nei confronti ”dell’ottimo Romain Rolland”, , da lui definito come “fulminatore di rimbrotti e pedagogo di giustizia a tutti i popoli di Europa che combattono, e tutti li biasima e li ama alla pari” o la sua critica alla “sconvenienza” o “vacuità” del “parteggiare in nome della scienza quando (come dice la parola del buon senso) la parola spetta al cannone”. Nella già citata lettera dell’Epistolario allo scrittore e drammaturgo francese, è proprio lo stesso Croce a suggerirgli, “posto che l’éscrivain sia io”,“il nome di Roberto Bracco” “come artiste”, aggiungendo: “Come scienziato non saprei chi suggerirle. Sono così pochi coloro che abbiano mostrato coraggio mentale!”, confessando, altresì, la sua limitata conoscenza del “mondo dei naturalisti e matematici” e invitando Rolland, a tal proposito, a rivolgersi “al sen. G. Battista Grassi, professore nell’Università di Roma, o al sen. Giacomo Ciamician dell’Università di Bologna”. Divertente è il Post Scriptum posto da Croce in calce alla lettera: “ A proposito di fraternità, se le può far piacere la informo che, durante la guerra, nei più accesi giornali italiani, tornava frequente la frase: quei due perfetti idioti (pardon!) che rispondono ai nomi di Romain Rolland e Benedetto Croce” e concludeva, causticamente, “Si può essere affratellati in modo più compiuto di così?”. Ma, che tipo di appello avevano sottoscritto Benedetto Croce, pur con tutte le sue perplessità, e Roberto Bracco? “La dichiarazione dell’indipendenza dello spirito”, era, in effetti, un duro atto di accusa, proprio nei confronti degli intellettuali europei, accusati di aver messo “la propria scienza, la propria arte, la propria ragione al servizio dei governi». Con un sorprendente incipit dal sapore quasi marxista: «Lavoratori dello spirito, compagni dispersi attraverso il mondo, separati per cinque anni dagli eserciti, dalla censura e dall’odio delle nazioni in guerra...», Romain Rolland rivolgeva un accorato appello agli intellettuali a ritrovare un’unione fraterna più solida e forte di quella di cui avevano dato così scarsa prova nel corso della prima guerra mondiale. Schiavi della propaganda nazionalistica, la maggior parte degli intellettuali avevano, infatti, tradito lo Spirito, di cui erano a servizio, avvilendo e degradando il pensiero, di cui dovevano essere i rappresentanti, riducendosi a meri strumenti delle pressioni e degli interessi egoistici di un clan politico, sociale, d’uno Stato, d’una patria o di una classe. Consapevole dei disastri arrecati dall’assenza di qualsiasi autonomia dal potere, compreso quello di aver «lavorato a distruggere la comprensione e l’amore per gli uomini», Romain Rolland sollecitava il mondo della cultura a ritrovare le ragioni universali dello Spirito, «che non è al servizio di alcunché», a onorare la sola verità, “libera, senza frontiere, senza limiti, senza pregiudizi di razza e di casta»; e, soprattutto, a difendere le ragioni dell’Umanità e, al di là della diversità dei popoli, del Popolo di tutti gli uomini, tutti egualmente fratelli. “La dichiarazione dell’indipendenza dello spirito”, nonostante il suo linguaggio fortemente lirico e drammatico, è un documento di rara lucidità politica per l’epoca in cui è stato scritto. Siamo, infatti, nel l9l9, alla vigilia cioè di una terribile fase storica che sarà tragicamente segnata dal quasi totale asservimento degli intellettuali alle ideologie delle dittature fascista e nazista e del totalitarismo comunista, triste preludio allo scoppio di un’altra guerra forse ancora più “spaventosa per estensione, per lunghezza, per violenza”. Una copia autografa della Declaration de l’Indipendance de l’Esprit manoscritta e con testo in francese, firmata da Romain Rolland, è tuttora custodita anche nel fondo Roberto Bracco – Aurelia Del Vecchio, a testimonianza dell’impegno civile e dell’antifascismo dello stesso Bracco, personalità poliedrica di scrittore, sceneggiatore, critico teatrale, poeta, politicamente vicino alle posizioni di Giovanni Amendola. Sodale di Croce e intellettuale di rara integrità morale, eletto deputato, decide, nel 1924, dopo il delitto Matteotti, “di condurre dai banchi dell’opposizione una lotta intransigente contro la dittatura fascista.” Fu tra i firmatari, nel 1925, del Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. “La risposta di Mussolini non si fa attendere”. Come scrive Antonio Greco, in una nota dal titolo Il teatro della libertà di Roberto Bracco, “inizia cosi una dura repressione per ridurlo al silenzio; una persecuzione che lo coinvolge sul piano fisico, morale, umano, artistico.” In una lettera, in data 12 agosto 1926, Roberto Bracco aveva già confidato a Benedetto Croce il suo depresso stato d’animo. “Ho, ahimé, la sensazione d’una solitudine profonda. Ad essa – che poi non è altro che uno stato di tristezza – hanno contribuito non poco le parole che mi disse ieri Giustino Fortunato: - Caro Bracco, l’Italia resterà così ancora per trent’anni!”. Benedetto Croce così gli rispondeva, in data 16 agosto 1926, dalla “piena tranquillità del nostro romitorio alpino” di Meana di Susa, dov’era in vacanza, cercando di consolarlo: “Mio caro Bracco, L’amico Giustino non deve troppo attristarvi. Da tanti anni che lo conosco, gli ho sempre udito profetare il peggio, che non è accaduto. Non so, naturalmente, quanto tempo durerà la situazione presente: ma certo non ne sanno più di me coloro che prevedono una lunghissima o lunga durata: soltanto che essi lavorano d’immaginazione e io m’inibisco questo lavoro. L’opposizione è ora apparentemente indebolita o annullata. Ma solo apparentemente. A tenerla viva e ad eccitarla ci pensano gli stessi uomini del regime, offendendo i sentimenti più gelosi dell’umana dignità. Ed io credo alla decisiva efficacia delle forze morali. D’altra parte, sdoppiandomi, come soglio fare, e passando a guardare non più da uomo di passione liberale, ma da filosofo e da storico, penso che l’Italia aveva bisogno, per la sua leggerezza, di un castigo come questo che le è caduto addosso, e che forse, se cessasse troppo presto, non produrrebbe il beneficio educativo che è da sperare che produca. Quanto a noi, dico agli uomini della nostra generazione e della nostra fede, dobbiamo seguitare a fare quel che facciamo: dare l’esempio di tener fermo. Vedremo o no migliori tempi, questa cosa è secondaria: intanto li portiamo nel nostro cuore, e questo basta a confortarci e rasserenarci. Anche l’amicizia che ora ci stringe, caro Bracco, che stringe me a voi come ad altri amici rispettabili, ha un sapore che prima non aveva. La nostra vita ha perduto in estensione ed ha guadagnato in intensità. E quanta gente possiamo, non dirò disprezzare, ma compatire di una poco onorifica compassione”. Dopo il fallito attentato del 31 ottobre 1926 a Mussolini, ad opera del giovanissimo anarchico bolognese Anteo Zamboni, le squadracce fasciste, a Napoli, come altrove, cominciarono ad assaltare le case di molti oppositori. Anche Benedetto Croce subì una spedizione punitiva fascista nella sua casa napoletana, la notte del 1° novembre 1926. «Siamo stati svegliati alle 4 da un gran fracasso di vetri rotti e di passi affrettati - si legge in un’ annotazione dei Taccuini - era una dozzina o quindicina di fascisti, venuti con un camion a devastarmi la casa». Stessa e, anzi, peggior sorte toccò a Roberto Bracco in quegli stessi giorni. Come scrive Antonio Greco, nella sua nota già citata : “Nel novembre del 1926, la sua casa viene praticamente distrutta dai fascisti e, qualche tempo dopo, egli stesso riesce miracolosamente a sottrarsi ad un ignobile agguato. Ma non si piegò. Rifiutò di scendere a patti col regime e, condannato quasi al1’esilio nella sua abitazione, visse, in solitudine, anni tremendi col solo conforto di pochissimi amici e familiari, dedicando parte della sua vita alla edizione delle sue opere teatrali. Forse l’episodio, il più vergognoso dell’accanimento del regime nei suoi confronti- come ha ricordato Pasquale Iaccio”, (autore del bel libro "Un intellettuale intransigente: il fascismo e Roberto Bracco", Napoli, Guida, 1992) e “che ha curato lo splendido epistolario tra il drammaturgo napoletano e la sua giovane moglie, Aurelia Del Vecchio - accade a Roma, nel 1929. Qui il suo ultimo lavoro “I pazzi”, messo in scena in un teatro romano, viene improvvisamente interrotto da una squadraccia fascista. Che distrugge ogni cosa e decreta la fine della rappresentazione. Da quel momento cala il silenzio sull’opera dell’ autore di teatro italiano in quegli anni più rappresentato e conosciuto all’estero e in più occasioni candidato al Premio Nobel.” Aldo Maiorano Per saperne di più su Roberto Bracco Pasquale Iaccio, L’intellettuale intransigente: il fascismo e Roberto Bracco, Napoli, 1992. Mario Prisco, L’alfiere della scena. Il teatro di Roberto Bracco. Oédipus, Salerno/Milano, 1911. A. del Vecchio, A. Grieco, P. Iaccio e F. Soverina, Omaggio a Roberto Bracco; in: “64° Anniversario delle Quattro Giornate di Napoli”, Istituto Campano perla Storia della Resistenza, Napoli 2007. Voce “Roberto Bracco” su vari siti web, tra cui: http//it.wikipedia.org e http/www.teatro.unisa.it

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