mercoledì 17 febbraio 2010

L'ultima notte di Bedò

C’è una piccola chiesa, dedicata a San Francesco, in contrada Odi, a Faicchio, non lontano da San Salvatore Telesino, un piccolo paese in provincia di Benevento, nell’entroterra campano. E c’è una lapide, posta sulla facciata anteriore della cappella, che ricorda un massacro rimasto tuttora impunito. E, sulla lapide, c’è scritto: “IL LORO ASSASSINIO INUMANO E FEROCE ACCRESCA IN NOI L’ORRORE DELLA GUERRA e ALIMENTI LA FIAMMA DELLA LIBERTÀ E DELL’AMORE. MENEO FERDINANDO DA FAICCHIO DI ANNI 67, BOVE BENEDETTO DA SAN SALVATORE TELESINO DI ANNI 19, DUSMET DE SMOURS FRANCESCO DA NAPOLI DI ANNI 18, PEZZATO ALDO DA NAPOLI DI ANNI 18, DE LEVA ROSARIO DA NAPOLI DI ANNI 16. TRUCIDATI IN QUESTA CAPPELLA DI SAN FRANCESCO IN FAICCHIO IL 15 – 10 – 1943”.
Pezzato Aldo, figlio di Leone Pezzato e Coppola Carmela, nato il 20 Agosto 1925 da Napoli di anni 18 era mio zio, ma io non ho mai avuto la gioia di conoscerlo di persona. Nei giorni angosciosi e terribili della guerra, per sfuggire ai bombardamenti e alla fame, i miei nonni materni con i figli Antonio, Aldo, Luigi, Maria ed Elena, mia madre, si erano rifugiati a San Salvatore Telesino, affettuosamente ospitati da Luigi Coppola, un fratello di mia nonna.
Nell’Aprile del 2005, in occasione del 60° anniversario della Festa della Liberazione, nel tentativo di ricostruirne la memoria e la figura e di strappare all’oblio inesorabile del tempo il ricordo di mio zio, ho scritto un breve testo, pubblicato On line da L’Unità e che qui riproduco.

Mio zio Aldo per liberarsi trovò la morte
Aldo Maiorano
Cara Unità, nella mappa delle stragi naziste, compiute in Italia tra il 1943 e il 1945, c´è un luogo sicuramente poco noto: si chiama Faicchio. Qui, a circa 5 km da San Salvatore Telesino, in provincia di Benevento, si compì un eccidio ad opera dei nazifascisti, forse un eccidio minore, dimenticato, ma non meno crudele ed efferato. Nella piccola Cappella di San Francesco, ai margini del paese, fu ritrovato il corpo di mio zio Aldo Pezzato, trucidato, poco più che diciottenne, insieme a tre suoi compagni di sventura. Era il 14 Ottobre 1943. Io sono nato 14 anni dopo. Di quello zio, che non ho mai potuto conoscere, porto il nome e conservo il ricordo, in larga parte tramandatomi da sua madre e mia nonna materna. Ho deciso di raccontare questo lontano episodio, dopo una lettera inviata ad "Avvenimenti" nel 1997 che non ho mai saputo che fine abbia fatto, solo oggi, nel sessantesimo anniversario della Festa della Liberazione. Mi sembra un episodio degno di essere segnalato a chi lo ignora o ricordato a chi, nel frattempo, l'ha dimenticato.
Nell'ottobre del 1943, di fronte all'offensiva anglo-americana, l'esercito tedesco batteva in ritirata dal Sud verso il Nord. Era già stato firmato l'armistizio dell'8 Settembre e gran parte del territorio italiano, da Napoli alle Alpi, cadde sotto l´occupazione nazista. Essa fu alquanto dura e feroce, anche per il particolare spirito vendicativo che connotò la condotta tedesca contro la popolazione italiana, ex-alleata in guerra. L'ordine impartito da Keitel il 17 settembre del 1943 disponeva "il trasferimento coatto della popolazione maschile", trascinata verso Nord per essere utilizzata come manodopera per il fabbisogno tedesco, con inflessibile uso della violenza ad ogni minima resistenza. Anche la sorte di mio zio e dei suoi compagni fu segnata da questa decisione. Il 9 Ottobre 1943 egli fu preso in ostaggio con altri 127 uomini rastrellati a San Salvatore Telesino e tutti furono trasportati a Piedimonte d'Alife, dove furono rinchiusi, per qualche giorno, nel carcere locale. Probabilmente da lì mio zio scrisse ai suoi genitori - i miei nonni materni - l'ultima lettera della sua vita, datata 11 Ottobre 1943, in cui li pregava di non stare in pensiero «perché, per il momento, stiamo tutti bene» e si accomiatava da loro con queste parole «Ci rivedremo presto e saremo felici». I 128 uomini riuscirono a fuggire in qualche modo dal carcere di Piedimonte d'Alife e fecero marcia indietro, inseguiti dai tedeschi, verso San Salvatore Telesino, attraverso la via delle montagne circostanti. Tutti tornarono a casa, tranne i quattro che avevano tentato la fuga – com'è stato successivamente ricostruito – per una via più breve e veloce. Mancarono per sempre all'appello: mio zio Aldo Pezzato, Rosario de Leva (unico figlio del musicista napoletano Enrico de Leva), Franco Dusmet e Benedetto Bove. I loro corpi, ammucchiati l'uno sull'altro, furono trovati nella piccola cappella di San Francesco, nei pressi di Faicchio, dove si erano rifugiati e dove i fucili tedeschi li trucidarono a morte senza pietà. Era il 14 Ottobre 1943. Né a mio zio né ai suoi compagni fu concesso di rivedere i propri cari. Mio zio era nato il 25 Agosto 1925. Era iscritto all'Azione Cattolica. Non fu un partigiano, né un martire consapevole della Resistenza, ma, anche lui, come tanti innocenti, pagò con il sacrificio della propria vita il prezzo più alto alla violenza e alla barbarie che il nazifascismo aveva scatenato in Italia e in Europa in quegli anni.
Pubblicato il: 21.04.05
Modificato il: 21.04.05 alle ore 19.12
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Nel frattempo, dopo la morte di mia madre, sono venuto a conoscenza di un altro documento, che a me pare particolarmente significativo e di cui prima ignoravo l’esistenza. Si tratta del riconoscimento della qualifica di partigiano, conferita a mio zio Aldo Pezzato, caduto per la Lotta di Liberazione … in Faicchio, dalla Commissione presieduta da Antonino Tarsia e firmata dal Dott. Pietro Amendola, Segretario Provinciale dell’ANPI di Napoli (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) in data 18 Aprile 1947.


Di recente, infine, sulla vicenda dei quattro sfortunati ragazzi deportati dai tedeschi, è stato finalmente pubblicato, nel settembre 2008 da Vereja edizioni, un bellissimo libro. Si tratta dell’ultima opera e del primo testo narrativo di Emilio Bove, medico di famiglia a San Salvatore Telesino, giornalista e scrittore. Il titolo, alquanto suggestivo, è L’ultima notte di Bedò, eroe protagonista di una storia vera e di una vicenda realmente accaduta, con pochi e marginali elementi concessi alla fantasia. Al racconto, 144 pagine dense e avvincenti come un romanzo ma con riferimenti a fatti, persone o cose assolutamente non casuali e fedeli alla cronaca di quei giorni e di quegli eventi dell’autunno del 1943, è allegato un Dossier di 80 pagine con documenti, immagini e testimonianze che hanno ispirato il racconto. Presentato al pubblico l’8 Novembre 2008 presso l’Abbazia Benedettina del Santo Salvatore a San Salvatore Telesino (BN), dal libro di Emilio Bove è stata tratta anche una performance teatrale (dialoghi, narrazioni, immagini, scene filmiche, danze e musiche), per la regia di Mariella De Libero, dell’Associazione Culturale Libero Teatro, messa in scena il 5 Agosto 2009 nel Cortile dell’Ex Municipio di San Salvatore Telesino, con oltre quaranta artisti tra attori e ballerini e che ha riscosso un notevole successo di pubblico.
Aldo Maiorano

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