Si tratta dell’ultima opera e del primo bellissimo racconto di Emilio Bove, dal titolo alquanto suggestivo “L’ultima notte di Bedò”, Benevento, Vereja Edizioni, 2008. Nato a Napoli il 12 settembre 1954 e laureato in Medicina e Chirurgia, Emilio Bove svolge attualmente l’attività di medico di famiglia a San Salvatore Telesino, un piccolo paese dell’entroterra campano in provincia di Benevento. Giornalista e scrittore, nonché collaboratore di varie riviste storiche, è la prima volta che l’autore si cimenta con un testo narrativo romanzato. L’esito è, tuttavia, felicissimo. Nel suo libro egli rievoca il luogo e il tempo della tragica vicenda di quattro sfortunati ragazzi, deportati dai soldati tedeschi, nell’ormai lontano autunno del 1943, in un paese del Sannio. Si tratta non solo di un romanzo ma di una “storia vera”, realmente accaduta, con “pochi e marginali elementi concessi alla fantasia”, con nomi di persone e luoghi originali, “specchio fedele” di una vicenda storica, per molto tempo dimenticata e negletta. Eroe e protagonista della storia, 144 pagine dense e avvincenti come un romanzo ma con riferimenti a fatti, persone o cose assolutamente non casuali e fedeli alla cronaca di quei giorni e di quegli eventi dell’autunno del 1943 e “che ci trascina dentro l’orrore della guerra vista dalla parte di coloro che la subiscono”, è Bedò (Benedetto Bove), un ragazzo di 19 anni. Insieme a lui, a condividere il suo tragico destino, i suoi compagni di sventura Francesco Dusmet De Smours, di anni 18, Di Leva Rosario, di anni 16, e Pezzato Aldo, di anni 18, mio zio materno.
Tutti e quattro i ragazzi, tra i quali anche l’unico figlio dell’apprezzato musicista napoletano Enrico De Leva, “autore di romanze ed opere liriche, ma diventato famoso e popolare per aver musicato la canzone “’E spingule frangese” scritta “in collaborazione” col famoso poeta e scrittore napoletano Salvatore Di Giacomo, furono trucidati e massacrati, in modo inumano e feroce, dai nazifascisti. I loro cadaveri, crivellati “dai proiettili di un’arma automatica”, furono rinvenuti il 18 ottobre 1943, quattro giorni dopo il massacro, probabilmente avvenuto nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre 1943, nella piccola chiesa di San Francesco in contrada Odi a Faicchio. Anche questo eccidio rimase ed è rimasto tuttora impunito. C’è solo una lapide, posta sulla facciata della chiesetta in ricordo del loro sacrificio. E, sulla lapide, c’è scritto: “IL LORO ASSASSINIO INUMANO E FEROCE ACCRESCA IN NOI L’ORRORE DELLA GUERRA e ALIMENTI LA FIAMMA DELLA LIBERTÀ E DELL’AMORE. MENEO FERDINANDO DA FAICCHIO DI ANNI 67, BOVE BENEDETTO DA SAN SALVATORE TELESINO DI ANNI 19, DUSMET DE SMOURS FRANCESCO DA NAPOLI DI ANNI 18, PEZZATO ALDO DA NAPOLI DI ANNI 18, DE LEVA ROSARIO DA NAPOLI DI ANNI 16. TRUCIDATI IN QUESTA CAPPELLA DI SAN FRANCESCO IN FAICCHIO IL 15 – 10 – 1943”.
Grazie a Emilio Bove ora c’è anche il racconto, coinvolgente e commovente, della loro tragica vicenda, corredato da un ricco e documentato dossier di circa 80 pagine, con documenti storici e d’archivio, immagini fotografiche, testimonianze che hanno ispirato direttamente il romanzo stesso. Il libro ha riscosso un notevole successo, è stato premiato ed è alla sua seconda edizione. Presentato ufficialmente al pubblico l’8 Novembre 2008 presso l’Abbazia Benedettina del Santo Salvatore a San Salvatore Telesino (BN), dal libro di Emilio Bove è stata tratta anche una performance teatrale (dialoghi, narrazioni, immagini, scene filmiche, danze e musiche), per la regia di Mariella De Libero, dell’Associazione Culturale Libero Teatro, messa in scena il 5 Agosto 2009 nel Cortile dell’Ex Municipio di San Salvatore Telesino, con oltre quaranta artisti tra attori e ballerini e un notevole successo di pubblico.
Qualche anno prima, sia pure con il limitatissimo materiale documentario a mia disposizione, avevo provato io stesso a sottrarre questa storia all’oblio, scrivendo un breve articolo pubblicato da “L’Unità”, nell’Aprile del 2005, in occasione del 60° anniversario della Festa della Liberazione. In esso cercavo di ricostruire la storia di mio zio Pezzato Aldo, figlio di Leone Pezzato e Coppola Carmela, nato il 20 Agosto 1925 a Napoli, di anni 18. Non ho mai avuto la gioia di conoscerlo di persona, ma di lui porto il nome e custodisco la memoria, tramandatami da mia nonna. Ecco l’articolo.
Mio zio Aldo per liberarsi trovò la morte
Aldo Maiorano
Cara Unità, nella mappa delle stragi naziste, compiute in Italia tra il 1943 e il 1945, c´è un luogo sicuramente poco noto: si chiama Faicchio. Qui, a circa 5 km da San Salvatore Telesino, in provincia di Benevento, si compì un eccidio ad opera dei nazifascisti, forse un eccidio minore, dimenticato, ma non meno crudele ed efferato. Nella piccola Cappella di San Francesco, ai margini del paese, fu ritrovato il corpo di mio zio Aldo Pezzato, trucidato, poco più che diciottenne, insieme a tre suoi compagni di sventura. Era il 14 Ottobre 1943. Io sono nato 14 anni dopo. Di quello zio, che non ho mai potuto conoscere, porto il nome e conservo il ricordo, in larga parte tramandatomi da sua madre e mia nonna materna. Ho deciso di raccontare questo lontano episodio, dopo una lettera inviata ad "Avvenimenti" nel 1997 che non ho mai saputo che fine abbia fatto, solo oggi, nel sessantesimo anniversario della Festa della Liberazione. Mi sembra un episodio degno di essere segnalato a chi lo ignora o ricordato a chi, nel frattempo, l'ha dimenticato.
Nell'ottobre del 1943, di fronte all'offensiva anglo-americana, l'esercito tedesco batteva in ritirata dal Sud verso il Nord. Era già stato firmato l'armistizio dell'8 Settembre e gran parte del territorio italiano, da Napoli alle Alpi, cadde sotto l´occupazione nazista. Essa fu alquanto dura e feroce, anche per il particolare spirito vendicativo che connotò la condotta tedesca contro la popolazione italiana, ex-alleata in guerra. L'ordine impartito da Keitel il 17 settembre del 1943 disponeva "il trasferimento coatto della popolazione maschile", trascinata verso Nord per essere utilizzata come manodopera per il fabbisogno tedesco, con inflessibile uso della violenza ad ogni minima resistenza. Anche la sorte di mio zio e dei suoi compagni fu segnata da questa decisione. Il 9 Ottobre 1943 egli fu preso in ostaggio con altri 127 uomini rastrellati a San Salvatore Telesino e tutti furono trasportati a Piedimonte d'Alife, dove furono rinchiusi, per qualche giorno, nel carcere locale. Probabilmente da lì mio zio scrisse ai suoi genitori - i miei nonni materni - l'ultima lettera della sua vita, datata 11 Ottobre 1943, in cui li pregava di non stare in pensiero «perché, per il momento, stiamo tutti bene» e si accomiatava da loro con queste parole «Ci rivedremo presto e saremo felici». I 128 uomini riuscirono a fuggire in qualche modo dal carcere di Piedimonte d'Alife e fecero marcia indietro, inseguiti dai tedeschi, verso San Salvatore Telesino, attraverso la via delle montagne circostanti. Tutti tornarono a casa, tranne i quattro che avevano tentato la fuga – com'è stato successivamente ricostruito – per una via più breve e veloce. Mancarono per sempre all'appello: mio zio Aldo Pezzato, Rosario de Leva (unico figlio del musicista napoletano Enrico de Leva), Franco Dusmet e Benedetto Bove. I loro corpi, ammucchiati l'uno sull'altro, furono trovati nella piccola cappella di San Francesco, nei pressi di Faicchio, dove si erano rifugiati e dove i fucili tedeschi li trucidarono a morte senza pietà. Era il 14 Ottobre 1943. Né a mio zio né ai suoi compagni fu concesso di rivedere i propri cari. Mio zio era nato il 25 Agosto 1925. Era iscritto all'Azione Cattolica. Non fu un partigiano, né un martire consapevole della Resistenza, ma, anche lui, come tanti innocenti, pagò con il sacrificio della propria vita il prezzo più alto alla violenza e alla barbarie che il nazifascismo aveva scatenato in Italia e in Europa in quegli anni.
Pubblicato il: 21.04.05
Modificato il: 21.04.05 alle ore 19.12
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Nel frattempo, dopo la morte di mia madre, sono venuto a conoscenza di un altro documento, che a me pare particolarmente significativo e di cui prima ignoravo l’esistenza. Si tratta del riconoscimento della qualifica di partigiano, conferita a mio zio Aldo Pezzato, caduto per la Lotta di Liberazione … in Faicchio, dalla Commissione presieduta da Antonino Tarsia e firmata dal Dott. Pietro Amendola, Segretario Provinciale dell’ANPI di Napoli (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) in data 18 Aprile 1947.
Ho scritto queste brevi note non solo per recensire l’ultima opera di Emilio Bove ma anche perché questa tragedia, rimasta impunita ed archiviata per tutto questo tempo, sia, almeno, più conosciuta e nota a tutti, in specie a tutti coloro che non vogliono né ricordare, né sapere. Perché è solo dalla maturazione di una coscienza critica del passato, senza alcuno spirito di vendetta, che questo paese, che rischia di essere senza più memoria e senza più radici, può sperare ancora per avere un futuro migliore e più giusto.
Aldo Maiorano
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