Uno dei miei primi articoli, se non proprio il mio primo articolo “ufficiale” in assoluto, porta la mia firma insieme a quella di Vincenzo Nucci, Enzo per gli amici, oggi noto e affermato giornalista RAI e attualmente corrispondente per l’Africa sub sahariana, dove ha aperto la sede Rai di Nairobi per seguire le vicende di quel continente.
Fu scritto in collaborazione e pubblicato col nostro nome e cognome sul Mensile politico del Mezzogiorno “L’Altritalia”, Anno III, n.° 10-12, Ottobre-Dicembre 1978. Mi auguro che Enzo Nucci non si dispiaccia se, a distanza di 32 anni, mi sia venuto in mente questo ormai lontanissimo episodio e che lo rievochi, trascrivendo per intero l’articolo in questione.
“L’Altritalia” era, all’epoca, una rivista auto-finanziata di “Politica, Economia, Attualità e Cultura”, giunta nel 1978 al suo terzo anno di pubblicazione col bilancio in pareggio, grazie all’”elevato numero di abbonamenti raggiunto”, all’”apporto della pubblicità” e alla “vendita militante nelle fabbriche e nei centri di attività politica e culturale”, edito dalla Cooperativa Editoriale Partenopea (Edizioni C.E.P.), con sede in via S. Giovanni Maggiore Pignatelli, 29 a Napoli e diretto da Aldo Canale, con redazioni a Napoli, Latina, Frosinone e Campobasso.
Il nostro articolo fu pubblicato con il titolo “Quinto Potere. Il problema dell’informazione privata” e con il breve sommario “Il campo delle radio e tv libere è al centro di attenzioni di varia natura, per lo più politiche”.
Correva l’anno 1978 dell’era pre-berlusconiana. Altri Tempi, un’ “Altritalia”, appunto. Entrambi provenivamo, amicizia personale a parte, dall’impegno politico e culturale nel movimento studentesco nel Liceo Classico “J. Sannazaro” di Napoli e dal lavoro nelle nascenti radio libere napoletane come “Radio Nuova Napoli” o dalle prime televisioni private come “TeleNapoli”.
Senza esserne nemmeno completamente consapevoli, e al di là dell’ingenuità di quanto scritto, avevamo, però, già intuito il vero punto di snodo e di svolta di quello che sarebbe diventato il cardine dell’anomalia italiana nei decenni successivi: il problema del “Quinto Potere”, del controllo dell’informazione e dei mezzi di comunicazione di massa, a partire dalla e dalle televisioni.
Ecco l’articolo.
“ Il 1976 è, in Italia, l’anno del “boom” delle radio e televisioni private.
Il nostro Paese è stato, inizialmente almeno, l’unico, a livello europeo, ad aver ufficialmente abbandonato il monopolio radiotelevisivo di Stato. Infatti, con sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 28-07-1976 e con leggi del Parlamento, si è attuata la “liberalizzazione” di radio e tv locali, ovvero si è concesso l’investimento di capitali privati nel settore. Già in Europa si erano venute a creare una serie di situazioni simili, anche se in proporzione molto inferiore. In Gran Bretagna, attualmente, si trovano ad operare circa una ventina di radio locali che, però, sono sottoposte ad un rigido controllo da parte del potere centrale, con l’unica eccezione di una radio pirata, installata su di una nave posta al di fuori delle acque territoriali e che trasmette, dai primi anni ’60, continuamente intralciata nel suo lavoro dalle autorità.
In Francia, invece, il fenomeno della proliferazione delle radio private va estendendosi a macchia d’olio, seppur tra mille contraddizioni: tipica quella che vede, da una parte, il riconoscimento legale, apparso sulla “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Francese” il 23 aprile 1978 dell’A.L.O. (Association pour la liberation des ondes), l’organismo più rappresentativo delle radio francesi e, dall’altra, la pratica ancora “illegale” a cui sono costrette le stesse. Basti pensare ai continui disturbi tecnici a cui sono sottoposti, da parte della polizia, i tentativi di emissione privata, che non riescono a superare i 30 minuti di trasmissione “pulita”. Il Partito Socialista Francese si è già da tempo espresso a favore del decentramento radiofonico (assumendo una posizione più avanzata rispetto al P.C.F. che si è pubblicamente opposto a qualsiasi forma di decentramento) attraverso una legge contro il monopolio, che ha trovato l’adesione di 62 sindaci e di numerosi intellettuali ed operatori culturali. Il progetto prevede la creazione di 200 radio finanziate e gestite attraverso i Consigli d’Amministrazione municipali: in tal modo si avrebbero tante piccole emittenti locali invece del mastodontico monopolio di Stato, favorendo, così, la radio intesa come servizio di pubblica utilità ed evitando la concentrazione delle antenne.
Tornando alla situazione italiana, dopo questa rapida panoramica, c’è da dire che il continuo incremento delle radio e tv private è un fenomeno che si è sviluppato, come tutti i fenomeni nuovi, in maniera caotica ed indisciplinata, creando una vera e propria corsa all’antenna, cioè un affannoso accaparramento delle ultime frequenze rimaste ancora libere. Ogni lettore potrà, infatti, verificare personalmente quanto detto cercando di sintonizzarsi su un certo megahertz e constatandone la difficoltà, causa il sovrapporsi e l’accavallarsi di varie emittenti che finiscono col rendere quasi impossibile l’ascolto. Del resto lo stesso discorso vale per le televisioni private.
Sembra quindi indispensabile una regolamentazione delle radiotelevisioni locali, tanto più che, in seguito alla già citata sentenza della Corte Costituzionale, hanno cominciato a scendere in campo i grossi imperi, editoriali prima e commerciali poi, che attendevano proprio un minimo di legalità per rischiare degli investimenti. E questo è avvenuto in misura maggiore per le televisioni che richiedono quasi tutte grossi capitali: si pensi, per esempio, all’alto costo degli impianti e delle spese di gestione. C’è però qualche rarissima, sporadica eccezione come, in Campania, Telestabia, una stazione costruita con materiali di risulta dei cantieri navali e gestita dal CRAL dell’ITALCANTIERI, cui aderiscono 2600 dipendenti dell’azienda che contribuiscono, con le loro quote, alle spese di gestione dell’emittente pari a 30 milioni annui. Telestabia si interessa esclusivamente di problemi locali e aziendali. Inoltre, le televisioni presentano un notevole interesse per i grossi capitali a causa del loro non indifferente potere di “persuasione occulta”, come dimostra la parossistica analisi, tutt’altro che inverosimile, però, di Sidney Lumet nel film “Quinto Potere”.
Ciò pare aver prontamente intuito anche Angelo Rizzoli che, di fronte ai favori crescenti incontrati dalle tv private presso il pubblico, favori che hanno sottratto, peraltro, stando alle ultime inchieste svolte, numerosi telespettatori alla tv di Stato, ha cominciato già da tempo a “mettere le mani” nel settore, prima nel Nord e Centro Italia e ora anche nel Sud, con particolare riguardo a Napoli, dove gli è fallito di poco l’acquisto dell’antenna laurina. Si può anzi affermare che le radiotelevisioni locali, specie quelle di carattere puramente commerciale, hanno fatto da battistrada al “neocapitalismo italiano dell’informazione elettronica”. Il mercato e la produzione di trasmettitori, antenne, mixer, giradischi, radio riceventi, sintonizzatori, tv a colori è in forte espansione. Si tratta di una vera e propria trasformazione tecnologica che fa parte di quella che è stata definita “una elettronicizzazione della sovrastruttura”, fenomeno che sarebbe però inutile e dannoso esorcizzare come tale.
L’impulso primo alla “liberalizzazione”, come è stato affermato da Umberto Eco, è venuto quindi proprio dalle grandi industrie elettroniche e dai grandi produttori di apparecchiature. Ed è stata questa mutata situazione tecnologica a mettere a disposizione di chiunque l’allestimento di una radio privata, facendo sì che il problema delle radio diventasse pari a quello della stampa, ponendosi così in termini di libertà d’espressione. Da queste considerazioni risulta evidente, come già accennavamo in precedenza, la necessità di una regolamentazione regionale che, tra l’altro, impedisca i monopoli e la concentrazione garantendo la sicurezza della località del mezzo, per esempio assicurando un raggio massimo di 30 chilometri. Ci pare quindi sempre più importante che, specie da parte delle radio di informazione, il cui impegno è senza dubbio più qualificato culturalmente e socialmente rispetto alle radio puramente commerciali, si affronti questa situazione, continuando ad avanzare proposte e suggerimenti e ad elaborare documenti anche di carattere tecnico-legislativo che le sinistre possano far propri nella discussione in Parlamento per la regolamentazione delle radiotelevisioni locali. Necessario sarà, inoltre, affermare il carattere di mezzo di comunicazione proprio di radio e televisione, contrastando la tendenza a considerarli e ad usarli solo come consumi: radio no-stop music e televisioni a colori con film 24 ore al giorno, per lo più western ed erotici. Il riconoscimento delle radiotelevisioni private come servizi pubblici a disposizione della collettività implicherebbe, inoltre, l’accesso a questi nuovi mass-media delle forze politiche e culturali locali, senza che ciò venga a creare una brutta copia della RAI Tv di Stato. La stessa esigenza è, d’altronde, alla base delle attuali polemiche sulla terza rete tv, dove si delineano una serie di interessi e posizioni contrastanti. Da parte delle Regioni viene avanzata la richiesta di rompere gli schemi del centralismo di viale Mazzini, in modo da rendere la costituenda terza rete tv una cosa diversa dalle due reti nazionali: una tv regionale, quindi, reale strumento di espressione delle culture e delle tradizioni locali, un decentramento di tipo non formale, voce di realtà territoriali oggi trascurate. Affermazioni simili ha rilasciato in una intervista comparsa su “Il Corriere della Sera” il 16-06-1978 il Presidente della Regione Lombardia Cesare Golfari. Il discorso sulla terza rete è chiaramente legato a quello delle tv private. Si può senz’altro prevedere che la terza rete tv, nel caso in cui riesca a garantirle realmente attrezzature ed iniziativa autonoma, finisca inevitabilmente col sottrarre spazio alle tv private. Non a caso la chiave del successo di queste televisioni è da ricercarsi nel privilegiare le notizie, gli avvenimenti, l’informazione su scala locale, che le garantiscono tra l’altro un contatto più diretto con la gente.
La situazione, come si può constatare, è tutt’altro che semplice e chiara, presentando anzi ambiguità non indifferenti. Il campo delle televisioni via etere è sempre più al centro di attenzioni di varia natura, anche più direttamente politiche. Non è poi un gran mistero, in fin dei conti, che l’informazione è potere e non potrebbe d’altronde essere altrimenti. È sperabile, per concludere, che la sinistra acquisti sempre più presenza anche nella RAI TV, con la volontà di adeguare l’ente pubblico al Paese reale e alle forze sociali protagoniste.”
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