“Non cesseremo di esplorare
e alla fine della nostra esplorazione
arriveremo dove abbiamo cominciato.
E per la prima volta conosceremo il luogo."
(T. S. Eliot)
Per quasi tutto il 1980 ho avuto l’occasione di scrivere, in qualità di collaboratore esterno, prima su “Il Diario di Caserta” e poi su “Il Diario di Napoli”: un’esperienza breve ma intensa, come quella dello stesso quotidiano, diretto, dal settembre del 1979 per un anno e mezzo circa, da Massimo Caprara (nato a Portici – Napoli nel 1922 e morto a Milano nel 2009). Con Massimo Caprara, uomo politico, deputato, scrittore e giornalista, segretario personale di Palmiro Togliatti fin dal 1944, tra i fondatori de “Il Manifesto” e, pertanto radiato dal P.C.I., anche per la sua posizione critica nei confronti dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia, successivamente allontanatosi dall’ideologia comunista, non ho mai avuto contatti e rapporti diretti e personali. In quel breve periodo di collaborazione al quotidiano, il mio pressoché esclusivo punto di riferimento, nella giovane redazione napoletana di via Santa Maria degli Angeli, composta allora da 21 redattori – tra i quali Franco Tontoli, Renato Caprile, Ersilia Carbone, Teresa Armato, Geo Nocchetti, Manuela Piancastelli, Domenico Gargano, Rosaria Capacchione, Bruno Stocchetti,; Nicola Muccillo, Umberto Baffi, Pietro Funaro, Nello Cozzolino e Patrizia Capua – è stato il mio amico ed ex-compagno di scuola al Liceo Classico “Jacopo Sannazaro” di Napoli, Enzo Nucci, poi diventato giornalista RAI, inviato di guerra del TG3 e tuttora responsabile della sede estera di Nairobi.
Il mio primo articolo, pubblicato nella pagina culturale de “Il Diario di Caserta” giovedì 21 febbraio 1980, s’intitolava “Ragione e fede secondo Hegel”, con il piccolo occhiello di “Conferenza a Villa Pignatelli”. Ecco il testo.
“ H. G. Gadamer, uno dei maggiori rappresentanti della filosofia europea contemporanea, ebbe ad esprimere, in una conferenza da lui tenuta qualche tempo fa a Napoli, ed ora pubblicata anche in volume col titolo “Hegel e l’ermeneutica”, il suo debito speculativo verso la tradizione filosofica di Napoli, la “città di G. Vico e di B. Croce”, come egli disse, riconoscendo come questa tradizione avesse anche preparato i presupposti del suo stesso pensiero. Affermava, inoltre, l’illustre filosofo tedesco: “E sono anche lieto di sapere che la grande eredità toccata in sorte a questa città è in buone mani. Tornerà ad onore delle tradizioni di Napoli, se essa…terrà viva la cura delle opere di Hegel”. Queste ultime parole del Gadamer sembrano trovare un’ulteriore e felice risposta proprio nella conferenza-dibattito che ha avuto luogo, martedì 19 febbraio, nelle belle sale del Museo “Diego Aragona Pignatelli Cortes”, in occasione della presentazione del volume di G. W. F. Hegel, “Religionsphilosophie. Die Vorlesung von 1821”, curato dal prof. K. H. Ilting. Il volume è pubblicato dalla casa editrice Bibliopolis, a cura del benemerito Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Alla conferenza, che è stata seguita da un folto e attento pubblico, hanno preso parte il prof. Guy Planty-Bonjour dell’Università di Poitiers, il quale ha introdotto i lavori con una relazione sul tema “La bontà di Dio nella filosofia della religione di Hegel”, il prof. Jacques D’Hondt, sempre dell’Università di Poitiers e lo stesso prof. Ilting, dell’Università di Saarbrucken, intervenuto a conclusione di un interessante e vivace dibattito. Alla manifestazione, organizzata dalla casa editrice Bibliopolis con il patrocinio del “Goethe Institut” e dell’”Institut Francais de Naples”, hanno inviato un messaggio di saluto anche il Presidente della Regione Campania e il Rettore dell’Università di Napoli G. Cuomo. La pubblicazione di questo primo volume delle lezioni hegeliane sulla filosofia della religione, nella nuova edizione critica del prof. Ilting, è, senza alcun dubbio, un avvenimento di notevole importanza culturale. Lungi dall’essere solo un’opera di erudizione, il lavoro del prof. Ilting costituisce, infatti, una nuova e proficua occasione di arricchimento nel campo già vasto degli studi hegeliani. Molti gli spunti di riflessione e le considerazioni di elevato interesse emersi nel corso della conferenza. Si è discusso dell’ambiguità della filosofia della religione dello Hegel, del suo concetto di religione, del legame del filosofo tedesco col Cristianesimo e dei suoi rapporti con la teologia e si è acutamente sottolineato anche l’influsso, su quest’aspetto della filosofia hegeliana, della tradizione mistica tedesca, sopratttutto protestante, da Eckhardt a Bohme. Il prof. Ilting ha, inoltre, tenuto a precisare come, da questo punto di vista, per Hegel si debba, a rigor di termini, parlare non di teologia naturale ma di filosofia della religione. La vecchia teologia, infatti, “cercava di stabilire ciò che si poteva conoscere di Dio con la pura ragione e altro non era che una metafisica intellettualistica, che faceva di Dio un ente astratto”, come aveva già notato lucidamente Carlo Antoni in un suo saggio. Per Hegel, invece, e su questo si è incentrata tutta la relazione principale del prof. Bonjour, Dio è Spirito. Non il Dio astratto delle religioni determinate ma il Dio come Spirito negli Spiriti, Dio vivente. Quel Dio come Assoluto e come l’Universale in sé e per sé che Hegel ha poi identificato con la Ragione e con il Pensiero. E costituisce, senza alcun dubbio, un merito del filosofo tedesco quello di aver rivendicato l’importanza della religione, intesa come momento necessario e anteriore della filosofia, ad essa alleata e non nemica, ad essa identica nel contenuto ma differente nella forma. E, per concludere, dobbiamo essere grati al prof. Ilting e all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici per quest’altra occasione di conoscenza e di dibattito di un filosofo che segna forse il momento più alto della filosofia occidentale e che, non a caso, fu definito come “l’ultimo in ordine di tempo dei grandi filosofi”. (Aldo Maiorano).
Il secondo articolo fu pubblicato, sempre nella pagina di Cultura de “Il Diario di Caserta”, giovedì 28 febbraio 1980, con il titolo: Il filosofo H. G. Gadamer il 15 marzo a Napoli. La rinascita degli studi filosofici.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, fondato nel marzo del 1975 dall’avvocato Gerardo Marotta e diretto dal prof. P. Piovani, con l’ausilio di E. Cerulli, E. Croce e G. Pugliese Carratelli, ha ormai raggiunto una fama e un prestigio di indubbio carattere internazionale, contribuendo a riportare Napoli al rango di una delle capitali della cultura e della filosofia europee. Titolo, questo, che alla città di Napoli spetta non solo di diritto ma anche di fatto, solo che si ricordi la grande tradizione degli studi filosofici napoletani che va da Vico a Spaventa fino a Labriola e Croce. E, com’è giusto, non sono certo mancati alla varie attività promosse dall’Istituto, quali dibattiti, conferenze, le pubblicazioni delle Memorie dell’Istituto, a cura della casa editrice Bibliopolis fondata da F. Del Franco, numerosi riconoscimenti. Ne sono una testimonianza non solo la costante attenzione verso l’Istituto da parte della stampa italiana più qualificata e di quella estera – ricordiamo, per tutti, l’articolo comparso nel dicembre scorso sul prestigioso settimanale tedesco “Der Spiegel” – ma anche le frequenti visite dei più insigni studiosi italiani e stranieri, insieme a quelle dell’ex-ministro per la Pubblica Istruzione sen. Prof. G. Spadolini e del ministro dei Beni Culturali sen. Ariosto. E non possono non tornare alla nostra memoria, di fronte alla vitalità culturale dell’Istituto, le parole che lo stesso Spadolini ebbe ad esprimere in suo favore in una lettera pubblicata dal “Roma” il 30 aprile 1979. Di fronte al dissesto e alla crisi dell’Università – argomentava l’allora ministro – “a Napoli…la cultura è, nonostante tutto, ben viva. Penso anche all’attività e alle intelligenti iniziative dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, cui tutta la mia generazione è a vario titolo legata da sempre”. Del resto, lo stesso avv. G. Marotta, col quale ci siamo intrattenuti in colloquio, nelle belle sale della vastissima biblioteca da lui donata all’Istituto, ha tenuto a precisare il legame e l’ispirazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici con quello più antico per gli Studi Storici, fondato a Napoli nel 1946 da Benedetto Croce. Gerardo Marotta ci ha poi parlato della prossima unione della biblioteca cinquecentesca di Benedetto Nicolini, insigne studioso del pensiero rinascimentale e figlio del celebre storico e filosofo Fausto Nicolini, con quella dell’Istituto e dell’imminente trasferimento della sede di quest’ultimo nel monumento statale dei Girolamini in via Duomo, ove, nella sala dedicata a Giambattista Vico, è custodita la biblioteca secentesca di Giuseppe Valletta. All’avvocato Marotta abbiamo poi chiesto di illustrare le attività future dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. “ Mi preme sottolineare” – egli ha così risposto – “che l’Istituto sarà in primo piano nell’organizzazione del convegno su Hegel, promosso dall’Internazionale Hegel Vereinigung, l’associazione che raccoglie tutti i maggiori studiosi di Hegel nel mondo. Il convegno si terrà a Napoli nel 1983. Per quanto riguarda, invece, le iniziative più a noi vicine, v’è da ricordare la conferenza di H. G. Gadamer, fissata per il 15 marzo prossimo, sul tema “Il Teeteto come introduzione alla dialettica di Platone”. Il nostro colloquio con l’avv. Marotta si chiude con questa sua dichiarazione: “La crisi del paese non è solo un segno di inadeguatezza di ideologie e di istituti, ma è, prima ancora, il riflesso di una crisi che investe il costume civile, i valori morali della cultura fino a coinvolgere le grandi sintesi storiche del passato che più hanno contribuito a definire i nostri attuali sistemi di valori…Proprio per questi motivi nel fondare l’Istituto è stato tenuto presente che esso, pur nella molteplicità delle sue aperture culturali, dovesse porre un particolare accento sulla tradizione hegeliana, una tradizione che, diffusa in diversissime componenti, ha avuto un ruolo di grande rilevanza nella formazione del sistema di valori delle nostre società contemporanee”. (Aldo Maiorano).
Il terzo articolo, col titolo Conferenze: “La civiltà del ’700 a Napoli”, fu pubblicato martedì 4 marzo 1980 nella pagina culturale de “Il Diario di Caserta”.
In concomitanza con la mostra d’arte del ‘700 napoletano è ora la volta di un’altra pregevole iniziativa culturale. Si tratta di un ciclo di conferenze aventi per tema “La civiltà del ‘700 a Napoli”, organizzato dall’Associazione Beni Culturali. L’Associazione si propone, tra l’altro, di incrementare la conoscenza dei beni culturali e la difesa del patrimonio artistico e ambientale, indirizzando la propria azione in specie verso il mondo della scuola. Napoli, com’è noto, fu uno dei centri più importanti del ‘700, il “Secolo dei Lumi”, come fu definito. Basti ricordare, per tutti, solo i libri, di importanza ed efficacia europee, dei napoletani P. Giannone, F. Galiani, A. Genovesi e G. Filangieri, pensando ai quali già lo Herder ebbe a scrivere, sul finire del XVIII secolo, che “la libertà del pensiero illumina e predilige il golfo di Napoli più che altro luogo d’Italia”. Napoli fu allora anche la patria di Gaimbattista Vico che, formatosi inizialmente nel clima cartesiano e razionalistico proprio del secolo, ne criticò poi i fondamenti, aprendo così la strada, in anticipo coi suoi tempi e in contrasto con essi, alla filosofia di quelli successivi. L’aspetto più propriamente politico del ‘700 napoletano è stato, invece, già illustrato nella conferenza tenuta, il 26 febbraio scorso, dal prof. Ajello. Questo il programma completo degli incontri che si svolgeranno presso l’aula magna del Liceo Sannazaro in via Puccini,3:
4 marzo, ore 16.00, prof. Mario Sansone: “La cultura letteraria”;
11 marzo, ore 16.00, prof. Vera Lombardi: “Tradizione e rinnovamento”;
18 marzo, ore 16.00, prof. G. C. Alisio: “Urbanistica e architettura”;
25 marzo, ore 16.00, prof. R. Mormone: “La scultura”;
1 aprile, ore 16.00, prof. R. Mormone: “La pittura”;
10 aprile, ore 16.00, prof. R. Pane: “Cultura e valori ambientali”. (Aldo Maiorano).
Sabato 15 marzo 1980 fu pubblicato l’articolo, il mio quarto, dal titolo Conferenza del filosofo Gadamer.
Oggi, alle ore 17.30, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli in viale Colascione 7, a Monte di Dio, il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer terrà una conferenza sul tema: “Il Teeteto come introduzione alla dialettica di Platone”. Gadamer, nato nel 1900 a Marburgo e, dal 1949, anno in cui fu chiamato a succedere a Karl Jaspers, Ordinario di Filosofia presso l’Università di Heidelberg, è – com’è noto – uno dei massimi rappresentanti della cultura filosofica contemporanea. Discepolo di Martin Heidegger, con il quale conseguì l’abilitazione in Filosofia nel 1929, è, altresì, profondo conoscitore della filosofia greca, in particolare di Platone, ed attento studioso dello Hegel e dello storicismo tedesco dell’800 e del ’900. È uno dei maestri dell’ermeneutica filosofica: un movimento di pensiero che ha portato di nuovo in auge i temi e i problemi dell’interpretazione e della comprensione. Gadamer ha il merito di averne saputo offrire un’elaborazione sistematica, ricollegandosi alla tradizione ermeneutica tedesca, le cui origini risalgono allo Schleiermacher per giungere, attraverso Boeckh e Droysen fino a Dilthey, ad Heidegger e allo stesso Gadamer. Anche l’Italia è rappresentata adeguatamente in tale ambito di studi: basti pensare all’opera di Emilio Betti o a quella, almeno in parte, di Luigi Pareyson, ai giorni nostri. Hans Georg Gadamer è autore di numerosi volumi di interesse non solo storico-filosofico ma anche letterario. La sua opera maggiore, quella che l’ha reso giustamente famoso, è “Verità e Metodo” (1960), tradotta in italiano da Gianni Vattimo. L’opera del Gadamer ha trovato vasta risonanza nella cultura filosofica contemporanea e, come è stato di recente riconosciuto, “la sua influenza si va estendendo in aree culturali diverse”. Ne sono testimonianza le sempre più frequenti traduzioni dei suoi scritti e il continuo proliferare degli studi sul suo pensiero. Per quanto riguarda l’Italia, oltre al già citato volume, “Verità e Metodo”, peraltro già esaurito, ricordiamo le traduzioni di: “Il problema della coscienza storica”, libro pubblicato nel 1969 proprio a Napoli dagli Editori Guida; “La dialettica di Hegel”, editore Marietti; “Ermeneutica e metodica universale”, editore Marietti; “Hegel e l’ermeneutica”, per le edizioni, ancora napoletane, di Bibliopolis. (Aldo Maiorano).
Mercoledì 19 marzo 1980, col titolo “La dialettica nel Teeteto platonico” fu pubblicato un breve resoconto, quinto articolo su “Il Diario di Caserta”, della conferenza del filosofo Gadamer a Napoli.
Benché sia stato proprio Hegel ad esprimere l’idea di dialettica nella sua forma più alta e matura e con geniale originalità, essa non può certo essere considerata del tutto assente nelle filosofie precedenti. La dialettica è, infatti, da questo punto di vista, tanto antica quanto l’uomo se è vero, com’è vero, che lo stesso filosofare è, nella sua essenza, dialettica. “L’anima” – dice Socrate nel dialogo platonico del “Sofista” – quando pensa, io non la vedo sotto altro aspetto che di persona la quale conversi con sé medesima, interrogando e rispondendo, affermando e negando”. E ciò è vero anche per la filosofia di Platone, non a torto definito come il primo vero e proprio pensatore dialettico della storia della filosofia. E che fosse lo stesso Hegel ad averne coscienza e a riconoscere con acutezza l’aspetto dialettico presente nei dialoghi platonici è stato lo stesso Gadamer a ribadirlo nella conferenza da lui tenuta, sabato 15 marzo, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Alla relazione di Gadamer che verteva sul tema “Il Teeteto come introduzione alla dialettica di Platone” ha fatto poi seguito un dibattito, nel corso del quale sono intervenuti, tra gli altri, il prof. Calabrò, il prof. Scarpati e il prof. Franchini. Forte della sua costante pratica dei classici greci e del suo contatto quotidiano con i dialoghi di Platone, Gadamer ha incentrato tutta la propria relazione sull’analisi del “Teeteto”, da lui definito come “il libro di testo fondamentale dell’antica teoria della conoscenza, da molto tempo argomento prediletto dai filosofi e dai teorici della scienza”. Il problema centrale del “Teeteto”, uno dei dialoghi, insieme al “Sofista”, al “Politico”, al “Flebo” e al “Timeo, appartenenti all’ultimo periodo dell’attività di Platone è, infatti, quello dell’essenza della conoscenza. Si tratta di un dialogo polemico che, nelle tre parti di cui si compone, intende confutare altrettante diverse definizioni del sapere, dimostrando che “conoscenza non è sensazione, che non è opinione vera, che non è opinione vera accompagnata da ragione”. Motivo conduttore del “Teeteto” è, quindi, la critica del sensismo e del relativismo ad esso connesso e, come Gadamer ha avvertito, esso “va letto come una sorta di dialogo negativo rispetto allo sviluppo dialettico positivo dei due dialoghi successivi, il “Sofista” e il “Politico”. (Aldo Maiorano).
Il mio sesto articolo fu pubblicato mercoledì 26 marzo 1980: Convegno sulla filosofia italiana del Novecento (occhiello), L’hegelismo di Croce e Gentile come superamento dell’idealismo (titolo).
Promosso dalla Società Filosofica Italiana e dalla Presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, si terrà, il giorno 27 a Napoli e il 28 e il 29 a Vico Equense, il Convegno di respiro nazionale sul tema: “La tradizione filosofica italiana del Novecento: la Storiografia dell’Idealismo”. L’iniziativa, di estremo valore ed interesse culturale e filosofico, è stata resa possibile anche grazie al contributo offerto dalla Regione Campania e dal Comune di Vico Equense. Con l’espressione “rinascita dell’Idealismo” si intende designare di solito quel vasto movimento filosofico di reazione al Positivismo imperante verso la fine dell’800 e gli inizi del ’900, che annoverò tra i suoi rappresentanti Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Ed è espressione questa divenuta abituale e di moda già fin dal 1903, quando lo stesso Giovanni Gentile ebbe ad adoperarla, forse per la prima volta, nel testo di una sua prolusione universitaria. Si parla di “rinascita” perché l’idealismo filosofico riprende in Italia la sua tradizione storica, richiamando in vita, come già scriveva Croce nel 1908, “quei quattro pensatori che formano come il quadrilatero filosofico della Germania: Kant, Fichte, Schelling e Hegel”, ricollegandosi, altresì, a quel movimento idealistico italiano, “analogo al tedesco, benché a questo inferiore per originalità e consapevolezza, e che potrebbe significarsi in altri quattro nomi: Galluppi, Rosmini, Gioberti e Spaventa”. A questi ultimi bisognerebbe, poi, aggiungere il nome di Francesco De Sanctis, il quale, per via dell’Estetica, riprese anch’egli e direttamente il dialogo con i grandi filosofi dell’idealismo tedesco, nonché con il pensiero storicistico del Vico, e quello di Antonio Labriola, grande interprete del marxismo e maestro di Croce. E che il Croce e il Gentile abbiano contribuito in modo determinante alla ripresa della filosofia idealistica in Italia, all’inizio del ‘900, è cosa senza alcun dubbio oltremodo vera, con la fondamentale avvertenza, però, che non si dimentichi, dietro la facile etichetta di “neoidealismo”, di sottolineare l’originalità e la peculiarità del movimento di idee sviluppatosi in Italia ad opera di questi due grandi pensatori, pervenuti – del resto – a convinzioni filosofiche ben diverse tra loro. Ciò è tanto più vero proprio per il Croce, il quale giunse finanche a negare le qualifiche, solitamente attribuite alla sua filosofia, di idealismo o neoidealismo, preferendo ad esse la formula di “Storicismo assoluto”, certamente più indicata a caratterizzare, in senso autonomo, il suo pensiero rispetto a quello dell’idealismo classico. Tale suo impegno di effettivo rinnovamento e superamento dell’idealismo filosofico, in specie hegeliano, è stato recentemente riconosciuto anche dallo stesso Hans Georg Gadamer, nel suo scritto “Hegel e l’ermeneutica”: “Proprio all’inizio del secolo” - così egli scrive – “Benedetto Croce aveva sentito l’esigenza di distinguere nella filosofia di Hegel ciò che è vivo da ciò che è morto e, così, di tirare le somme della persistente tradizione dell’hegelismo italiano”.
Di fianco all’articolo, in un trafiletto, fu pubblicato anche il Programma del Convegno:
27 marzo: Sala Bibliografica della Biblioteca Nazionale di Napoli (Piazza del Plebiscito – Palazzo Reale). Ore 16.00: Inaugurazione del Convegno con il Saluto del Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, Prof. Fulvio Tessitore; Saluto del Presidente della S. F. I., Prof. Evandro Agazzi; Saluto delle Autorità. Ore 17.00: Relazione del Prof. Gabriele Giannantoni dell’Università di Roma su “Il pensiero antico nella storiografia idealistica”. Ore 17.45: Dibattito
28 marzo: Salone del Castello Giusso del Galdo di Vico Equense. Ore 9.30: Relazione del Prof. Giovanni Santinello dell’Università di Padova su “La filosofia medioevale nella storiografia idealistica”. Ore 10.15: Relazione del Prof. Paolo Rossi Monti dell’Università di Firenze su “La filosofia moderna nella storiografia idealistica”. Ore 11.00: Dibattito. Ore 16.00: Relazione del Prof. Raffaello Franchini dell’Università di Napoli su “La concezione della storiografia filosofica in B. Spaventa e G. Gentile”. Ore 16.45: Relazione del Prof. Girolamo Cotroneo dell’Università di Messina su “La polemica fra Croce e Salvemini e le origini della storiografia idealistica”. Ore 17.30: Dibattito.
29 marzo: Ore 9.30: Relazione del Prof. Antonio Bruno dell’Università di Catania su “Metodologia e storiografia filosofica di Croce”. Ore 10.15: Dibattito. (Aldo Maiorano).
Sabato 29 marzo 1980 fu pubblicato, con un paio di giorni di ritardo, il settimo articolo dal titolo Omaggio a Basile.
Organizzato dall’Associazione Amici del Basile, con il patrocinio della Regione Campania e del Comune di Giugliano, si terrà nei giorni 28, 29 e 30 marzo, proprio a Giugliano, il Convegno di studi sul tema “Omaggio a Giambattista Basile”. Nato intorno al 1575, probabilmente a Napoli e morto nel 1632 a Giugliano, il Basile fu uno dei maggiori scrittori del barocco italiano, nonché autore di numerose raccolte liriche, poemetti e lettere giocose, sia in prosa sia in versi. Il suo capolavoro è, però, costituito da “Lo cunto de li cunti, ovvero lo trattenimiento de’ peccerille”, una raccolta di cinquanta racconti suddivisi in cinque giornate, nota anche col nome di “Pentamerone”. L’opera, scritta in dialetto napoletano, fu pubblicata postuma, con lo pseudonimo di Gian Alessio Abbattutis, chiaro anagramma del nome dello scrittore. Chiamato dai suoi contemporanei con l’appellativo “il Boccaccio napoletano”, Giambattista Basile fu anche l’autore de “Le Muse napolitane”, un insieme di nove egloghe o dialoghi, sempre in versi dialettali, aventi per tema scene di vita napoletana. Oltre alla sua intensa attività letteraria vanno, inoltre, ricordate anche la sua milizia nell’esercito veneziano e gli incarichi ch’egli ricoprì, prima come cavaliere alla corte dei Gonzaga a Mantova e, poi, come “governatore feudale in vari luoghi del Mezzogiorno”. L’opera principale del Basile, il “Pentamerone”, ha avuto numerose ristampe nel secolo XVII e XVIII, incontrando anche l’interesse di J. Grimm, il quale vide in essa un caratteristico documento di folklore. In Italia, invece, la sua importanza venne man mano decrescendo, anche a causa delle difficoltà del dialetto del Basile, tanto antico quanto ostico. A rivalutare il Pentamerone fu, inizialmente, Vittorio Imbriani, il quale dedicò tra l’altro allo scrittore napoletano del ‘600 un vero e proprio studio dal titolo “Il gran Basile”. Ma, il merito maggiore nell’aver fatto conoscere e apprezzare il Pentamerone spetta, senza alcun dubbio, a Benedetto Croce che ne curò, nel 1925, una completa e finissima traduzione in lingua italiana per l’editore Laterza, corredandola di un ampio commento. Questa edizione critica del Croce è stata poi tradotta anche in lingua inglese, ad opera del Penzer, in due volumi. A distanza di 348 anni dalla morte del Basile si cercherà, dunque, attraverso gli interventi dei critici e degli storici della letteratura, dei letterati e dei filologi che prenderanno parte al Convegno di Giugliano, di ripensarne l’opera e la figura, con particolare riguardo proprio verso il Pentamerone, non a torto considerato come uno dei capolavori della letteratura dialettale napoletana. Non è un caso, infatti, che lo stesso Francesco Flora, nella sua ormai celebre “Storia della letteratura italiana”, ebbe a definirlo, sulle orme di Croce, “il primo e più illustre tra quanti libri di fiabe esistano nella civiltà europea”. (Aldo Maiorano).
L’ottavo articolo, con l’occhiello “Ricordata la figura di B. Capasso” e il titolo Mostre di libri e un convegno, fu pubblicato su “Il Diario di Caserta” martedì 1 aprile 1980.
Sabato 29 marzo si è tenuto a Sorrento, presso il Teatro Tasso, il Convegno sul tema “L’eredità culturale di Bartolomeo Capasso”, in commemorazione dell’ottantesimo anniversario della morte dell’insigne storico e topografo della Napoli antica, scomparso appunto nel 1900. Alla lodevole iniziativa, promossa dal Comune di Sorrento e dall’Assessorato ai Beni Culturali, hanno preso parte Alfonso De Franciscis, Michele Fuiano, Benito Iezzi, Catello Salvati e Max Vajro, i quali hanno illustrato, nelle loro relazioni, la complessa figura ed opera dello storico napoletano: dagli studi da lui compiuti sulla Napoli greco-romana a quelli sull’età medioevale, dalle ricerche sorrentine fino alla sua intensa attività archivistica. Bartolomeo Capasso, infatti, oltre a fondare nel 1876 la Società Napoletana di Storia Patria, attualmente ricca di una infinità di manoscritti, libri, opuscoli e giornali che trattano ogni periodo della storia napoletana, ebbe a dirigere, per diversi anni e con rara competenza, l’Archivio di Stato di Napoli. Sempre nel quadro delle manifestazioni in suo onore si è,poi, svolta, nei giorni 28, 29 e 30 marzo, la Prima Mostra Nazionale di stampe e libri antichi e si è, altresì, inaugurata sempre il giorno 29 marzo, nei locali del Circolo dei Forestieri, una mostra bibliografica dedicata proprio a Bartolomeo Capasso. Nato nel 1815 a Napoli e subito indirizzatosi verso gli studi di archeologia e di storia, Capasso fu un maestro nel campo delle ricerche di erudizione storica, principalmente napoletana. Tra le sue numerose opere ricordiamo le “Memorie della Chiesa sorrentina” (1854), “Il Tasso e la sua famiglia a Sorrento” (1866), “Le fonti della storia delle province napoletane dal 568 al 1500”. Pubblicò, inoltre, numerosi studi sulla sua città, della cui storia era esperto conoscitore. Come scrisse, infatti, Giulio De Petra “a lui nessun periodo storico di Napoli era straniero”. Nel 1905, postuma, uscì la sua opera fondamentale “Napoli greco-romana”, “un quadro storico-topografico dell’antica città, quale era al tempo dei greci e dei romani, o per meglio dire, quale può essere ricostruito su le testimonianze certe degli autori e dei monumenti che avanzano”. Così scriveva lo stesso Bartolomeo Capasso nella prefazione al suo manoscritto, poi pubblicato in volume, cinque anni dopo la sua morte, a cura della medesima Società Napoletana di Storia Patria ch’egli aveva fondato. Benedetto Croce lo ebbe, insieme a Giuseppe De Blasis, amico e maestro e a lui dedicò quegli scritti che era venuto pubblicando in alcune riviste storiche napoletane, come la celebre “Napoli mobilissima”, fondata dal Croce nel 1891, insieme a Salvatore Di Giacomo, Giuseppe Ceci, Michelangelo Schipa e Riccardo Carafa. Scritti che il Croce raccolse poi in volume nel 1919 col titolo “Storie e leggende napoletane”, dedicandolo “Alla Memoria di Bartolomeo Capasso”. E non fu certo un caso che quel crociano libro di leggende e storie napoletane fosse dedicato proprio a Capasso, non a torto considerato da molti come “Il Padre della Storia napoletana”. (Aldo Maiorano).
Domenica 6 aprile 1980 “Il Diario di Caserta” pubblicava una pagina di segnalazioni sugli appuntamenti dello spettacolo, col titolo Un’orgia di divertimento, dal cinema al teatro, alla musica e alla televisione fino alle feste popolari, a cura di Vincenzo Nucci, Francesco Ceci, Nicola Muccillo e Aldo Maiorano.
Martedì 8 aprile 1980, col titolo Benedetto Croce nella tradizione idealista, preceduto dall’occhiello “Concluso il convegno della Società Filosofica”, era pubblicato il mio nono articolo.
Si è concluso, nel salone del Castello Giusso del Galdo a Vico Equense, negli stessi luoghi in cui il napoletano Gaetano Filangieri ebbe a meditare e scrivere parte della sua “Scienza della Legislazione”, il Convegno sul tema “La storiografia dell’idealismo”. L’iniziativa, promossa dal Presidente della Società Filosofica Italiana, prof. Evandro Agazzi e dal Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, prof. Fulvio Tessitore, si è svolta nel quadro di una serie di incontri dedicati all’analisi e alla discussione della tradizione filosofica italiana del Novecento. In precedenza, infatti, avevano già avuto luogo altri due convegni aventi per tema, l’uno, il pensiero marxista; l’altro, il pensiero cristiano. Inaugurato a Napoli, nella sala bibliografica della Biblioteca Nazionale, con una relazione del prof. Giannantoni su “Il pensiero antico nella storiografia idealistica”, il Convegno ha poi proseguito i suoi lavori a Vico Equense con le relazioni del prof. Santinello su “La filosofia medioevale nella storiografia idealistica”, del prof. Franchini su “La concezione della storiografia filosofica in B. Spaventa e G. Gentile”, del prof. Cotroneo su “La polemica tra Croce e Salvemini e le origini della storiografia idealistica” per concludersi, infine, con la relazione del prof. Bruno su “Metodologia e storiografia filosofica di Croce”. E non è certo un caso che l’inaugurazione del Convegno sia avvenuta proprio a Napoli, città di grandi tradizioni speculative. Napoli fu, infatti, attraverso l’opera di Benedetto Croce, uno dei centri più significativi, se non il più significativo, di quella rinascita filosofica e di quel rinnovamento della cultura italiana e non solo italiana della prima metà del ‘900, di quel cosiddetto idealismo che, appunto, il Convegno ha posto al centro del suo interesse e della sua analisi. E a questa tradizione si è richiamato apertamente lo stesso prof. E. Agazzi, nel dare ufficiale avvio ai lavori del convegno. Tutte le relazioni, così come gli interventi ad esse successivi, hanno sottolineato, seppure con accenti diversi e con differenti valutazioni, l’importanza e l’influenza rinnovatrice esercitata sulla cultura italiana dalla storiografia dell’idealismo. Un riconoscimento, questo, estremamente significativo, non solo perché proveniente da studiosi e filosofi attestati su posizioni speculative spesso del tutto diverse, ma anche perché tale giudizio è venuto a rettificare la troppo sommaria svalutazione che della storiografia idealistica si era fatta in Italia, specie in questi ultimi tempi. (Aldo Maiorano)
Il decimo articolo fu pubblicato domenica 20 aprile 1980: Conferenza su “Voltaire et le luxe” (occhiello), “Il problema del lusso” (titolo).
“Sono duemila anni che si declama contro il lusso in versi e in prosa e lo si è sempre amato…Il lusso ad Atene ha creato grandi uomini in ogni campo”. Così scriveva nel suo celebre “Dizionario Filosofico” del 1764, alla voce “Lusso”, Francois Marie Arouet, certamente più noto al secolo e ai posteri, col nome di Voltaire. E, ancora così, proseguiva: “Se per lusso intendete l’eccesso, si sa che l’eccesso è dannoso in ogni modo: nell’astinenza come nella ghiottoneria, nell’economia come nella liberalità”, per concludere, infine, con la citazione dei famosissimi versi del poeta latino Orazio: “Est modus in rebus…”, vale a dire, “c’è una misura nelle cose, vi sono certi limiti al di là e al di qua dei quali non può trovarsi la giusta via”. E su questo tema, “Voltaire et le luxe”, si è tenuta, nella sede dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, la conferenza del prof. Haydn T. Mason dell’University of East Anglia. Il relatore ha illustrato gli aspetti principali dell’evoluzione del pensiero di Voltaire, “il più grande scrittore dell’Illuminismo francese” per dirla con il Windelband, sul problema del lusso: dall’opera “Defense du mondain” fino al “Dizionario Filosofico”. Attraverso tale angolazione visuale egli si è soffermato anche sulla più generale e complessiva concezione della società e della vita propria del pensatore francese. Il prof. Mason è anche quel che si suol dire uno specialista per quanto riguarda il campo degli studi su Voltaire. Ha infatti pubblicato già due volumi sulla figura e sull’opera dell’insigne illuminista francese ed è, altresì, il principale responsabile della “Voltaire Foundation”. La conferenza del prof. Mason si è svolta nel quadro di un seminario di studi dedicato a Voltaire, organizzato a Napoli, il 14 e il 15 aprile, dall’Istituto Universitario Orientale. In precedenza si era già svolta un’altra conferenza sul tema “Les elements autobiographiques dans l’ouevre de Voltaire”, relatore il prof. Jeroom Vercruysse della Vrjie Universiteit di Bruxelles e curatore dell’opera in otto volumi “Les Voltariens”, una raccolta di pubblicazioni su Voltaire dal 1778 al 1830. (Aldo Maiorano).
Il 1 maggio 1980, su Il Diario di Napoli e non più di Caserta, fu pubblicato il mio undicesimo articolo: “Ancora uno studio sul bambino di legno – Pinocchio, un burattino: cento letture diverse”.
Tra il luglio 1881 e il gennaio 1883 comparve, con ritmo diseguale, sul “Giornale per i bambini” diretto da Ferdinando Martini, un racconto a puntate dal titolo “Storia di un burattino”. Il racconto era destinato a diventare ben presto celebre. Ne era autore un certo Carlo Lorenzini, diventato famoso come Carlo Collodi, dal nome del paese nativo della madre. Quel racconto fu poi pubblicato in volume nel 1883 con illustrazioni di E. Mazzanti e col definitivo titolo “Le avventure di Pinocchio”. E fu, certo, l’opera più riuscita del noto scrittore fiorentino per ragazzi. Un libro famoso, dunque, forse il più famoso della cosiddetta letteratura per l’infanzia ed, ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, tutt’altro che dimenticato. Ma, era solo un libro per ragazzi o anche per adulti? Un più o meno abile prodotto pedagogico o anche un libro di qualche pregio e valore artistico? Un fatto è certo: intorno al “Pinocchio” di Collodi è sorta una vera e propria letteratura, estremamente varia e diversificata: dall’ “Elogio di Pinocchio” di P. Pancrazi del 1923 fino alle pagine di Benedetto Croce nel suo quinto volume della “Letteratura della nuova Italia”, dalle riflessioni di F. Flora fino alle più recenti pagine di F. Tempesti e di G. Jervis. Della figura del burattino sono state proposte letture assai diverse, in chiave sociologica, strutturale, psicologica, pedagogica, finanche antropologico-psicoanalitica. Al personaggio di Pinocchio hanno dedicato studi P. Hazard, in “Uomini, ragazzi e libri”; G. Genot, in “Analyse structurelle de Pinocchio”; A. Asor Rosa, in “Sintesi della letteratura italiana”; Luigi Compagnone, in “Commento alla vita di Pinocchio”; E. Garroni, in “Pinocchio uno e bino”. E sulle vicende del simpatico burattino di legno è stato girato persino un film per la regia di Comencini. A tal punto che, come ha notato Jervis, su Pinocchio si è potuto “scrivere qualsiasi cosa” e, come sempre succede per tutti i libri molto semplici – ammoniva già il Pancrazi tanti anni fa – anche per “Le avventure di Pinocchio” si sono spesso tentate letture “difficili”. Segno, questo, peraltro, della persistente vitalità e della forte carica d’immaginazione e di umanità del testo collodiano e del personaggio stesso di Pinocchio. Una nuova conferma dell’interesse per questo argomento è venuta dal recente libro di Antonio Gagliardi, “Il burattino e il labirinto”, presentato proprio l’altro ieri nella Sala degli Incontri Culturali de La Nuova Italia Editrice, in via Carducci, 15. Hanno illustrato il volume, edito dalla Stampatori – Tirrenia, Gianfranco Mazzacurati e Corrado Piancastelli. La manifestazione, patrocinata dal Comune di Napoli, è stata organizzata in collaborazione con la sezione culturale dell’ISUP (Istituto di Sociopsicologia umanistica e Psicoterapia) e con il Gruppo napoletano di Ricerca Poetica. Ma perché il titolo del libro è “Il burattino e il labirinto”? Evidentemente perché, fin dal primo capitolo del testo collodiano, Pinocchio corre, si muove ed entra in conflitto con i valori sociali della famiglia, del lavoro e dell’ubbidienza, proprio in una sorta di labirinto di situazioni che, attraverso il gioco della “ripetizione”, lo porteranno a trasformarsi, infine, da burattino di legno in ragazzo perbene. (Aldo Maiorano)
Mercoledì 14 maggio 1980 su “Il Diario di Napoli” fu pubblicato il mio dodicesimo articolo: “Un centro di consultazione e ricerca. Nasce a Napoli l’Aleph, nuova libreria”.
Si è di recente costituita a Napoli, in via Santa Teresa a Chiaia 45 – tel. 421357, la libreria editrice Aleph, specializzata nella vendita di testi, periodici e documenti sotto forma di reprints e microfilms. Attraverso una serie di accurate ristampe anastatiche e di cataloghi ordinati per argomento, essa intende proporsi come un utile centro di consultazione e ricerca bibliografica, a disposizione non solo di biblioteche e di istituti ma anche di singoli studiosi e lettori. L’area d’intervento è notevolmente vasta: dalla filosofia alla scienza, dalla storia al diritto. Su richiesta, inoltre, indicando l’autore e il campo di ricerca, la libreria editrice Aleph prepara anche estratti bibliografici del materiale attualmente disponibile sul mercato internazionale. Oltre a tali attività, essa promuove, inoltre, la vendita di numerosi volumi di case editrici italiane e straniere. È il caso delle edizioni francesi dell’Edhis e di quelle italiane dell’editore Forni, riguardanti problemi di storia napoletana. Presso i locali della libreria sono in vendita anche le pubblicazioni della casa editrice napoletana Biblliopolis, diretta da Francesco Del Franco. Si tratta di testi di argomento prevalentemente storico-filosofico, tra i quali ricordiamo la recente ristampa della prima annata (gennaio-dicembre 1872) del celebre “Giornale napoletano di Filosofia e Lettere”, diretto da Bertrando Spaventa, Francesco Fiorentino e Vittorio Imbriani. Tra le iniziative più recenti intraprese dalla giovane libreria Aleph ricordiamo,poi, la pubblicazione da essa diffusa di numerosi periodici e volumi sui movimenti e partiti politici esistenti in Italia dal 1900 fino alla caduta del fascismo. In tale prospettiva s’inserisce anche l’edizione, in bobine da microfilm da 35 mm., del quotidiano “L’Avanti”, organo del Partito Socialista Italiano. La collezione si riferisce agli anni che vanno dal 1896 al 1926 ed è pubblicata dalla casa editrice americana Clearwater Publishing Company, in collaborazione con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. La libreria Aleph ne cura la vendita, in esclusiva, per l’Italia. Sempre recentemente è poi apparso un catalogo di testi e periodici del ‘700 francese, disponibili sotto forma di reprints e microfilm ed, ancora, una raccolta di scritti su Voltaire e D’Holbach. La libreria editrice Aleph è, infine, in grado di mettere a disposizione degli interessati anche un’accurata ristampa anastatica di numerosi manifesti della Comune di Parigi (1793-1794). Complessivamente, dunque, un insieme di materiali indubbiamente utili e non solo per le biblioteche. (Aldo Maiorano)
Venerdì 16 maggio 1980 fu pubblicato l’articolo numero 13, sempre su “Il Diario di Napoli”: “Conferenza stampa del “Gruppo Editori Napoletani”. Illustrati il programma e gli obiettivi dell’Associazione”.
Il “Gruppo Editori Napoletani”, recentemente costituitosi per iniziativa della sezione Editori dell’Unione Industriali della Provincia di Napoli, ha illustrato il proprio programma e le proprie proposte nel campo dell’informazione e dell’editoria, nel corso di una conferenza svoltasi mercoledì 14 maggio al Circolo della Stampa, alla Villa Comunale. Obiettivi principali dell’iniziativa sono stati l’analisi e la discussione dei rapporti intercorrenti tra l’editoria napoletana e i mezzi di comunicazione di massa, nel quadro di una nuova politica culturale della città. Il “Gruppo Editori Napoletani”, cui hanno aderito le case editrici Bibliopolis, Colonnese, Conte, E.S.I., Ferraro, Fiorentino, Liguori, Loffredo, S.E.N., è sorto allo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, della stampa e delle forze politiche verso la realtà editoriale locale e il suo ruolo di moderna ed attiva forza imprenditoriale, impegnata a concorrere in prima persona “allo sviluppo civile e culturale della città e della regione”. La decisione degli editori napoletani di consorziarsi per programmare cooperativamente la propria attività è stata, inoltre, motivata dalla necessità di fronteggiare i numerosi problemi, dall’aggravio dei costi di produzione al conseguente restringimento della domanda, cui essi vanno incontro in specie in quanto piccoli e medi imprenditori, privi, dunque, di cospicui finanziamenti e pubblicità sui grandi mezzi di comunicazione di massa. Si è, pertanto, auspicato un maggior interesse, in particolare da parte dei quotidiani, periodici e radiotelevisione, alla produzione editoriale napoletana, peraltro in fase di netta espansione, avendo essa raggiunto nel 1979 la considerevole cifra di 300 titoli pubblicati. Tra le numerose proposte avanzate dal “Gruppo Editori Napoletani” figurano quelle della realizzazione di un Centro di Cultura Polivalente e dell’estensione a Napoli della Settimana del Libro, una manifestazione già più volte effettuata con successo in altre città d’Italia. Si richiede, altresì, il rispetto delle leggi esistenti a favore delle imprese del Mezzogiorno. Nel corso della conferenza, in cui hanno svolto due brevi relazioni gli editori Guida e Liguori, è stato infine presentato un Notiziario – Catalogo delle pubblicazioni più significative delle varie case editrici napoletane consociate. (Aldo Maiorano).
Venerdì 23 maggio 1980, il 14° articolo fu ancora una volta dedicato allo stesso tema: “Costituito il Gruppo Editori Napoletani. Necessario strumento di diffusione culturale”.
La recente costituzione del “Gruppo Editori Napoletani”, concretizzatasi ufficialmente nel corso di una conferenza svoltasi qualche giorno fa, presso il Circolo della Stampa alla Villa Comunale e di cui abbiamo già dato notizia ne “Il Diario di Napoli” del 16 maggio ’80, rappresenta indubbiamente un avvenimento estremamente significativo ed interessante. “È il segno eloquente”, infatti, come ha ampiamente sottolineato il dott. Mario Guida nella sua relazione introduttiva, “della volontà degli editori campani di inserirsi in un discorso imprenditoriale”, tendente a far uscire il lavoro dell’editore dalla “solitudine” in cui esso era stato relegato sia “dalla sordità alle sue esigenze da parte del potere politico…sia dal diffuso disimpegno, quando non disinteresse, da parte dei mass media”. Che si tratti invece di un lavoro avente un ruolo non indifferente nell’economia della città e della regione, costituendo esso non solo un indispensabile strumento di diffusione culturale ma anche un settore produttivo che assicura determinanti livelli occupazionali, è stato ribadito con forza dal “Gruppo Editori Napoletani” sempre nel corso della conferenza stampa. Sorto nell’ambito dell’Unione Industriali di Napoli, hanno finora aderito ad esso dodici case editrici napoletane Bibliopolis, Colonnese, Conte, E.S.I., Ferraro, Fiorentino, Guida, Il Tripode, Il Laboratorio, Liguori, Loffredo, S.E.N.. Auspicando una maggiore attenzione verso la propria attività, in specie da parte dei mezzi di comunicazione di massa, il “Gruppo Editori Napoletani” ha infine presentato alcune proposte nel campo dell’editoria, invitando le varie forze culturali ed istituzionali della città a pronunciarsi su di esse e ad elaborare un programma comune al fine di promuovere un adeguato sviluppo della produzione e diffusione della cultura e dell’informazione in Campania. Ecco le proposte avanzate dal “Gruppo Editori Napoletani” ed illustrate, nella sua relazione, dal dott. Franco Liguori: 1) Realizzazione di un centro di cultura polivalente in cui poter consultare libri, ascoltare musica, visionare diapositive e documentari, partecipare a mostre, presentazioni, conferenze e dibattiti. A tale scopo potrebbe essere adattata una parte del restaurato Castel dell’Ovo. 2) Reale attivazione di tutte le biblioteche della regione. 3) Promozione e organizzazione di corsi, conferenze e seminari. 4) Promozione di un Centro Professionale per librai, traduttori, editori, giornalisti, bibliotecari, redattori. 5) Estensione a Napoli della Settimana del Libro. 6) Applicazione della legge statale n.° 835 del 1950 a favore delle imprese del Mezzogiorno. 7) Tutela delle iniziative nel campo dell’editoria quali, ad esempio, facilitazioni nell’acquisto della carta ed istituzione di premi per le opere migliori. 8) Trasformazione del Premio Napoli. 9) Creazione di un Comitato Tecnico in grado di promuovere le suddette iniziative. 10) Riconoscimento dello “status” industriale agli editori da parte degli istituti di credito finanziari. (Aldo Maiorano).
Mercoledì 28 maggio 1980, 15° articolo – in realtà tre articoli separati e distinti - fu pubblicata un’intera pagina a mia cura dal titolo “L’Istituto Italiano per gli Studi Storici: una scuola anti-accademica. La fabbrica degli storici” . Accompagnavano gli articoli tre foto: in alto, una foto di Fausto Nicolini, Guido Gonella (allora ministro della Pubblica Istruzione) e Benedetto Croce all’inaugurazione dell’Istituto il 16 febbraio 1947. Al centro un disegno a matita di Roberto Pane che ritraeva Croce. In basso la seguente epigrafe posta nell’androne di Palazzo Filomarino: “Tra queste secolari mura/Benedetto Croce/ trovò pace domestica e invincibile virtù/ per la ricerca del vero/ per la difesa della libertà/ in mirabile opera/in vita esemplare/ segnando il suo pensiero/alto nell’eterno umano sapere”.
Tutte le foto erano tratte dal libro di Raffaello Franchini “Intervista su Croce”, a cura di Arturo Fratta, S.E.N. editrice.
Nel crocicchio di “Spaccanapoli”, all’incrocio dell’antica via della Trinità Maggiore, oggi via Benedetto Croce, con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara, in questo ancora stupendo e popoloso “angolo di Napoli”, immortalato nel crociano libro “Storie e leggende napoletane”, sorge, quasi di fronte al Campanile di Santa Chiara, l’imponente e storico Palazzo appartenuto un tempo ai San Ssnseverino, principi di Bisignano, e successivamente ai Filomarino, principi della Rocca. In esso, fin dal 1913, abbandonata la precedente casa di via Atri 23, il filosofo Benedetto Croce stabilì la propria abitazione, al secondo piano, e quivi visse e studiò per circa quarant’anni. E non fu certamente un caso. Due secoli prima, infatti, il medesimo palazzo aveva più volte ospitato un altro grande napoletano cui il Croce fu e rimase sempre, e non solo sentimentalmente, legato: Giambattista Vico, il quale vi si recava spesso a tenere conferenze private al principe Filomarino. E, proprio nelle sale in cui il Vico era solito tenere queste conferenze, in un’ala dell’abitazione di Croce, fu fondato il 16 febbraio 1947, ad opera del Croce stesso e con la decisiva collaborazione del banchiere umanista Raffaele Mattioli, l’Istituto Italiano per gli Studi Storici, che all’opera del Vico e alla sua “scienza nuova” intendeva esplicitamente richiamarsi. Nel discorso inaugurale su “Il concetto moderno della storia”, raccolto in seguito nel volume “Filosofia e Storiografia” del 1949, il Croce stesso ebbe, infatti, a riconoscere apertamente la prima origine dell’Istituto proprio nella vichiana unità di filosofia e filologia. Pensato e voluto da Benedetto Croce come “scuola” e “centro di ricerche”, nel solco della secolare tradizione napoletana di scuole non accademiche se non addirittura, anzi, anti-accademiche, l’Istituto nacque al fine di promuovere gli studi storici e il “rapporto sostanziale della storia con le scienze filosofiche…le quali sole definiscono e dimostrano quegli umani ideali e fini e valori, dei quali lo storico è chiamato ad intendere e narrare la storia”. Proposito dell’Istituto era, dunque, quello di promuovere il rinnovamento del pensiero storiografico, compenetrandolo e fornendogli rigore e chiarezza di principi, attraverso le discipline filosofiche dell’etica, della logica, dell’economia, della politica e dell’arte, secondo il più alto e vitale insegnamento della metodologia storiografica crociana. “Quali vie noi ci proponiamo di tenere è indicato dal fine che abbiamo segnato” – scriveva il filosofo napoletano nella Premessa allo Statuto del 1946 - : ”leggere e commentare e sottoporre ad esame critico i libri degli storici maggiori, perché gli alunni compongano così nella loro mente a proprio uso una storia e una viva e concreta metodologia della storiografia; schiarire ad essi i concetti che reggono l’opera dello storico, così quelli comuni ad ogni storia come gli altri che sono particolari ai vari rami della storiografia, della politica, dell’economia, della morale, della religione, del linguaggio, della poesia e della letteratura e delle arti; aiutarli nel porre bene i problemi nei temi che prendono a trattare e sovvenirli di opportune avvertenze e indicazioni; e formare in loro la coscienza che l’intelligenza della storia va di pari con la formazione della propria personalità morale”. A dirigere le attività dell’Istituto – come ha ricordato recentemente il filosofo Raffaello Franchini nella sua “Intervista su Croce” – era stato designato Adolfo Omodeo, intimo amico del Croce ed insigne storico del Cristianesimo. Ma Omodeo si ammalò e morì prematuramente nell’aprile del 1946. A sostituirlo nella direzione dell’Istituto, e di certo non indegnamente, fu allora chiamato Federico Chabod, coadiuvato nell’opera di docente dal filosofo Alfredo Parente e dal prof. Giovanni Pugliese Carratelli. Lo stesso Benedetto Croce vi tenne nei primi anni, dal 1947 al 1952, e finchè fu in vita, numerosi corsi di lezioni, leggendo diverse conferenze, tra cui risaltano quelle sui problemi del metodo storico, poi pubblicate nel volumetto “Storiografia ed idealità morale”. L’Istituto ha, ormai da qualche tempo, superato il trentesimo anno di vita, esercitando indubbiamente un’alta funzione culturale e contribuendo anch’esso a tener vivo ed operante l’insegnamento vichiano e crociano. Ha messo a concorso centinaia di borse di studio per laureati italiani e stranieri, svolgendo anche una qualificata attività editoriale con la pubblicazione degli “Annali” dell’Istituto e di una collana di volumi. Ha organizzato annualmente corsi e seminari di studi, integrandoli frequentemente con cicli di lezioni e conferenze di studiosi e docenti “esterni”. E sarà sufficiente scorrere velocemente l’elenco degli alunni che hanno frequentato l’Istituto, specie nei suoi primi anni di vita, per rendersi conto che, realmente, un’intera generazione di studiosi ha varcato in tutti questi anni le soglie di Palazzo Filomarino e che, come scriveva nel 1970 Raffaele Mattioli, “per l’Istituto passa una parte non trascurabile della futura èlite culturale italiana”. Sono stati, infatti, allievi dell’Istituto uomini come Vittorio De Caprariis, Raffaello Franchini, Rosario Romeo, Giuseppe Galasso, Renzo De Felice, Renato Giordano, Francesco Compagna, Nicola Matteucci, Giuseppe Giarrizzo, Ettore Lepore, Marcello Gigante, Mario Del Treppo, Fulvio Tessitore, Renato Caserta, Alfonso Scirocco, Antonio Villani, Gaetano Arfè, Salvatore Onufrio, Luigi Compagna, molti dei quali sono, oggi, tra l’altro, professori di ruolo nelle università italiane.
Intervista all’avvocato Carlo Croce Nanni
Presieduto da Maurizio Mattioli, figlio di Raffaele, l’Istituto Italiano per gli Studi Storici è oggi diretto dal prof. Giovanni Pugliese Carratelli, succeduto in tale carica a Federico Chabod fin dal 1960. L’Istituto organizza annualmente tre corsi monografici: uno di storia antica, curato dallo stesso prof. Giovanni Pugliese Carratelli, docente di ruolo presso l’Università di Pisa; uno di storia medioevale e moderna, curato dal prof. Ernesto Sestan, docente di ruolo presso l’Università di Firenze; uno di filosofia, curato dal prof. Alfredo Parente, intimo amico e discepolo di Benedetto Croce e, a sua volta, originale interprete e prosecutore del pensiero del filosofo napoletano, studioso di filosofia e critico musicale, direttore per oltre quaranta anni della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria e, altresì, fondatore e direttore, fin dal 1964, della celebre Rivista di Studi Crociani. Segretario dell’Istituto è l’avvocato Carlo Croce Nanni. “L’Istituto” – ci ha cortesemente dichiarato l’avvocato – “bandisce ogni anno diversi concorsi a borse di studio per laureati e, precisamente, dodici borse per giovani laureati in Università italiane, sei delle quali riservate a studenti residenti a Napoli; due borse riservate, rispettivamente, ad un candidato di nazionalità francese e ad un candidato di nazionalità svizzera ed, infine, tre borse di studio internazionali destinate a giovani studiosi non italiani: la prima, intitolata dal 1960 a Federico Chabod; la seconda, dal 1962, ad Adolfo Omodeo e la terza al Comune di Napoli. Alla costituzione di queste borse, offerte dall’Istituto, contribuiscono vari enti, anche stranieri, quali il Comune di Napoli, l’Istituto di Credito San Paolo di Torino, l’Accademia Nazionale dei Lincei, il Rotary Club di Napoli Ovest, la Banca della Svizzera Italiana, la Banque Francaise et Italienne pour l’Amerique du Sud etc…”. Gli alunni dell’Istituto sono tenuti, come si legge dal bando di concorso, a frequentare tutti i corsi e ad impegnarsi nella preparazione e nel compimento di un lavoro scientifico sotto la guida dei docenti dell’Istituto. A loro disposizione, mediante lettura in sede, è il materiale della Biblioteca – circa 30.000 volumi e più di 100 periodici – in cui sono confluiti anche i libri di storia del Cristianesimo appartenuti ad Omodeo e quasi tutti i volumi della Biblioteca di Chabod. Inoltre, i borsisti possono avvalersi della Biblioteca Croce, le cui sale sono attigue a quelle dell’Istituto e che è legata da uno speciale accordo con la Fondazione. “A frequentare i corsi dell’Istituto, spesso con notevole profitto, sono, accanto agli italiani, numerosi studenti stranieri provenienti da tutte le parti del mondo: americani, francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri, polacchi, jugoslavi, spagnoli, persino giapponesi. Inoltre, insieme ai corsi tenuti dai docenti dell’Istituto, si organizzano annualmente altri cicli di lezioni e conferenze, cui intervengono studiosi di tutte le nazionalità. Qualche tempo fa, per esempio, è stato ospite dell’Istituto il prof. Nicolas Tertulian, uno studioso rumeno, il quale ha tenuto un ciclo di lezioni sull’estetica di Lukacs. Quest’anno, invece, sono intervenuti Paul Di Bon e Albert Soboul, quest’ultimo docente presso la Sorbona di Parigi”. L’avvocato Carlo Croce Nanni ci ha, infine, anticipato la prossima iniziativa dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici: si tratta della conferenza, fissata per venerdì 30 maggio, dello scienziato Felice Ippolito, fondatore e direttore de “Le Scienze” fin dal 1968, il quale parlerà sull’interessantissimo tema: “Benedetto Croce e la concezione delle scienze”. Felice Ippolito, oltre ad essere un esperto geologo ed autore di numerose e qualificate opere sulla “questione energetica” è, infatti, serio cultore di studi filosofici, culminati nel suo fortunato e pregevole volumetto del 1968 dal titolo “La Natura e la Storia”.
Nel segno di Croce
L’attività editoriale dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici si svolge attraverso la pubblicazione di una collana di monografie e degli “Annali”. La prima, comprendente più di 30 volumi, raccoglie i migliori lavori scientifici compiuti dai borsisti dell’Istituto. Negli “Annali”, di cui sono stati pubblicati i volumi 1 (1967-‘68), 2 (1969-’70), 3 (1971-’72) e 4 (1973-’75), sono compresi, invece, saggi critici, scritti, ricerche, erudite edizioni di documenti altrettanto meritevoli di pubblicazione, ma, che per il loro carattere o la loro limitata estensione, non possono trovare posto nella collana di monografie storiche. L’esclusività per la diffusione e la vendita dei volumi è riservata alla casa editrice Mondadori e si tratta, senza alcun dubbio, di ricerche di notevole valore, estremamente varie per argomento ed interesse: “dall’antichità classica fino alla politica contemporanea”. Dal libro di Lino Marini dedicato a “Pietro Giannone e il giansenismo napoletano del ‘700”, primo volume della collana, allo studio “che si pone in primo piano nella letteratura guicciardiniana di questi ultimi anni” di Vittorio De Caprariis su Francesco Guicciardini; dal bel volume di Rosario Romeo “Il Risorgimento in Sicilia” alla densa opera di Giuseppe Giarrizzo “Edward Gibbon e la cultura europea del Settecento”; dalle monografie di Franco Gaeta su Lorenzo Valla, di Nicola Matteucci su Jacques Mallet-Du Pon e di Gennaro Sasso su Niccolò Machiavelli all’ampia e documentata indagine critica di Graziella Pagliaro Ungari dal titolo “Croce in Francia. Ricerche sulla fortuna dell’opera crociata”, fino alla raccolta di “Saggi e ricerche sul Settecento”, che si avvale di una introduzione critica di Ernesto Sestan. E non sono questi che solo alcuni dei volumi editi dall’Istituto: per l’elenco completo non ci resta che rimandare al catalogo aggiornato delle pubblicazioni, curato da Francesco Lazzari. In corso di stampa sono, infine, il volume di Massimo Leotta, la cui pubblicazione si attende ormai da diverso tempo, e il libro “Luciano e l’Umanesimo” di Emilio Mattioli. L’Istituto ha, inoltre, curato nel 1964 una bibliografia a cura di Silvano Borsari su “L’opera di Benedetto Croce” e si adopera ad apprestare l’edizione completa dell’epistolario del Filosofo. Sono già apparsi nel 1967 una raccolta di lettere 1914-1935 di Benedetto Croce, curata da Lidia Herling Croce e Piero Craveri; nel 1969, le lettere di B. Croce ad Alessandro Casati; nel 1975, le lettere di Antonio Labriola a Benedetto Croce (1885-1904), ordinate cronologicamente ed annotate da Lidia Croce ed, infine, proprio recentemente, il carteggio Croce-Omodeo, curato dal noto filologo Marcello Gigante. Tale impegno rappresenta, senza alcun dubbio, il doveroso omaggio dell’Istituto al suo illustre fondatore, ai cui propositi ed ideali esso ha cercato, in tutti questi anni di attività, di tener fede, mantenendo viva la tradizione metodologica della storiografia crociana. Anche se, come ha rilevato Raffaello Franchini in alcune pagine della sua “Intervista su Croce” dedicate proprio all’Istituto, qualcosa di più in tale prospettiva esso avrebbe, forse, potuto fare. (Aldo Maiorano).
Sabato 31 maggio 1980 “Il Diario di Napoli” pubblicava il 16° articolo: “Mostra – Mercato alla “Libreria Democratica Sapere”. Leggere di più e meglio con i libri tascabili”.
La Libreria Democratica Sapere, operante in città già da diversi anni e specializzata, tra l’altro, nella vendita di testi universitari e riviste nonché di poster e dischi, ha organizzato recentemente, nei suoi locali in via Capitelli n.° 6, tel. 324154, la prima Mostra-Mercato del libro tascabile a Napoli. L’iniziativa, inaugurata il 20 maggio scorso, si protrarrà fino al 20 luglio 1980, con esposizione e vendita al pubblico, con sconti fino al venti per cento, delle edizioni economiche dei testi delle principali case editrici nazionali, da Mondatori a Bompiani fino ad Adelphi, Garzanti e Feltrinelli. Scopo della Mostra-Mercato – come si legge in un comunicato inviato alla stampa da Gino Cusati, proprietario della Libreria – è quello di tendere “ad avvicinare un pubblico più vario e differenziato alla conoscenza del libro”, inteso come “strumento di diffusione e formazione culturale”. E, indubbiamente, il libro tascabile offre, da questo punto di vista, numerosi e notevoli vantaggi, “non solo per la qualità delle sue edizioni ma soprattutto perché esso si presenta come un libro economico, accessibile ad ognuno” e ciò proprio in un momento in cui il mercato librario, anche a causa dei costi eccessivi, è in considerevole crisi. Inoltre, prosegue ancora la dichiarazione di Gino Cusati, “spesso il libro tascabile non trova un’adeguata esposizione presso i centri di vendita libraria dove si fa, invece, posto a libri più costosi e inaccessibili, “favorendo non poco, in tal modo, l’allontanamento del pubblico nei confronti del libro e contribuendo a incrementare ancor più il primato italiano di essere uno dei paesi della Comunità Europea in cui si legge meno”. Ed è un dato, quest’ultimo, valido particolarmente proprio per il Mezzogiorno d’Italia. (Aldo Maiorano).
Martedì 3 giugno 1980 “Il Diario di Napoli” pubblicava il 17° articolo: “Conferenza di Felice Ippolito. Scienze naturali e Benedetto Croce”.
Lo scienziato Felice Ippolito ha tenuto, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, una conferenza sul tema: “Il pensiero di Benedetto Croce di fronte alle scienze naturali”. Docente di geologia applicata all’Università di Napoli ed autore di numerose e qualificate opere sui problemi dell’energia, Felice Ippolito è direttore della rivista “Le Scienze”, ancor oggi il più significativo e diffuso mensile del settore in lingua italiana, da lui stesso fondato nel lontano 1968. Ma, oltre che uomo di scienza ed esperto geologo, egli è, altresì, serio cultore di studi filosofici, culminati nella sua fortunata e pregevole raccolta di saggi del 1968 dal titolo “La Natura e la Storia”. In tale breve ma efficace volumetto, “tutto ispirato” – come ha giustamente riconosciuto Giuseppe Gembillo – “alla teoria del giudizio storico-prospettico” elaborata dal filosofo Raffaello Franchini nell’opera “Teoria della previsione” del 1964, Felice Ippolito aveva preso in esame e discusso il pensiero di Benedetto Croce di fronte alle scienze e a quelle cosiddette naturali, in particolar modo, accettandone con vigore tutte le conclusioni. Motivo ispiratore delle considerazioni ivi svolte dallo scienziato-filosofo napoletano era, infatti, la sempre più profonda coscienza, acquisita dalla metodologia scientifica dei nostri tempi, del carattere storico ed individualizzante della conoscenza e, parimenti, dei gravi limiti e delle insufficienze del metodo “catalogante, tipizzante, generalizzante e schematizzante” caratteristico proprio delle scienze, anche se certamente non solo ad esse comune. Ed a tali considerazioni Felice Ippolito si è esplicitamente richiamato anche nella sua conferenza, soffermandosi in particolar modo sul problema della Natura, da lui crocianamente intesa come “costruzione del pensiero umano e, come tale, sempre cangiante e rinnovantesi”. Ed il fatto che uno scienziato del valore e dell’esperienza di Felice Ippolito abbia ancora una volta rivendicato il valore della filosofia storicistica, “la base logica più salda della problematica della scienza d’oggi” – com’egli ha affermato – dovrebbe far riflettere, perlomeno con maggiore attenzione, quanti si ostinano ancora a considerare la concezione crociana come una mera svalutazione, o peggio, una negazione tout court delle scienze. “Benedetto Croce” – ha giustamente ricordato Felice Ippolito – “non intese mai liquidare le scienze, né tanto meno separarle del tutto dalla filosofia”. La distinzione che il Croce pose tra filosofia e scienza non era, infatti, - come egli stesso ebbe a scrivere nell’Avvertenza del 1916 alla “Logica” – “distacco da ciò che nella scienza è verace conoscere, ossia dagli elementi storici e reali della scienza, ma solo dalla forma schematica nella quale questi elementi vengono compressi, mutilati e alterati”. (Aldo Maiorano).
Sabato 14 giugno 1980 “Il Diario di Napoli” pubblicava un’intera pagina da me curata sulla recente costituzione a Napoli della Scuola di Studi Superiori, col titolo “Le vie della filosofia”. Nella pagina apparivano un articolo di Manuela Piancastelli, un contributo di Luigi Firpo, un intervento dell’avvocato Gerardo Marotta e, insieme ad alcune foto ritraenti uno scorcio della Sala delle Conferenze dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la Biblioteca e l’avvocato Gerardo Marotta, il mio 18° articolo, dal titolo: “Verso la rinascita della Repubblica delle Lettere. Tenace richiamo alle più valide tradizioni filosofiche europee”.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, fondato a Napoli dall’avvocato Gerardo Marotta nel marzo del 1975, ha senza alcun dubbio offerto un decisivo contributo alla ripresa e allo sviluppo della ricerca filosofica in Italia. Nei suoi primi cinque anni di vita l’Istituto ha, infatti, promosso un’intensa e qualificata attività scientifica, riconosciuta ormai in tutta Europa, proponendosi con i suoi seminari, con i suoi dibattiti e con le sue pubblicazioni, come un indispensabile centro di alta cultura e di studi filosofici e contribuendo, com’è stato affermato, “a riportare Napoli al rango di una delle capitali della cultura e della filosofia europee”. Tra le sue iniziative più significative ricordiamo: le edizioni critiche dei testi della Scuola di Epicuro e dell’Accademia platonica, il catalogo dei Papiri ercolanesi, l’inventario della biblioteca di Giuseppe Valletta, la nuova edizione critica delle Lezioni berlinesi dello Hegel, i programmi delle opere complete di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, la riproposta dei testi dell’Illuminismo italiano e dei filosofi napoletani dell’Ottocento ed, infine, la nuova collana di testi della filosofia classica tedesca. Segni tangibili, questi, come ha recentemente scritto lo stesso avvocato Gerardo Marotta, “dell’originalità dell’impostazione e della larghezza di interessi che guida l’Istituto ed, insieme, di un tenace richiamo alle più valide tradizioni della filosofia europea”. In questo stesso spirito l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici si è, ora, fatto promotore di un’altra prestigiosa iniziativa: l’istituzione, cioè, di una Scuola di Studi Superiori in Napoli, solennemente inaugurata il 31 maggio scorso, alla presenza di numerosi esponenti del mondo della cultura e di autorità pubbliche, nella sala G. B. Vico della Biblioteca dei Girolamini, in via Duomo 142. E non è certamente un caso che la cerimonia dell’inaugurazione abbia avuto luogo proprio nel monumento statale dei Girolamini ove, nella sala dedicata al gran nome di Vico, è custodita la magnifica biblioteca secentesca dell’avvocato napoletano Giuseppe Valletta, nobile mecenate di quel rinnovamento culturale che portò Napoli, in particolare nella seconda metà del Seicento ad essere un centro di notevole importanza e significato nel contesto europeo ed, altresì, sede, grazie a medici, filosofi e giuristi quali Tommaso Cornelio, Lionardo di Capua, Francesco D’Andrea, Marco Aurelio Severino, della grande seicentesca Repubblica delle Lettere. Infatti, è proprio a tale spirito di cooperazione tra studiosi di diversi paesi, di cui Napoli fu in quell’epoca con Giuseppe Valletta una delle capitali, che intende ispirarsi la Scuola di Studi Superiori, fondata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in esplicito collegamento anche con la plurisecolare e feconda tradizione delle scuole napoletane: dalla seicentesca Repubblica delle Lettere, appunto, fino ai circoli illuministici di Mario Pagano e Domenico Cirillo, alle grandi scuole napoletane dell’Ottocento di Francesco De Sanctis e Bertrando Spaventa, dall’insigne magistero di Benedetto Croce fino all’illustre Istituto Italiano per gli Studi Storici, dallo stesso filosofo napoletano istituito nel lontano 1947. Un grande patrimonio storico e culturale, insomma, di cui l’Istituto e la Scuola di Studi Superiori si sono assunti il non facile compito di essere degni eredi, per restituire a Napoli la sua autentica identità culturale e il suo ruolo storico di vero centro della filosofia italiana ed europea. Un compito che, peraltro, l’Istituto ha già in larga misura svolto, se è vero come è vero quanto scriveva tempo fa lo storico Paul Dibon, dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi: “L’Istituto filosofico illustra in maniera illuminante l’ammirevole continuità tra la Napoli del diciassettesimo secolo e la Napoli d’oggi, il resistere della città di Giuseppe Valletta e di Benedetto Croce come centro della cultura europea. E allora, come non esprimere al fondatore di questo Istituto tutta la nostra ammirazione: erede spirituale di Giuseppe Valletta, egli mantiene viva la grande tradizione napoletana di apertura a tutti i valori della cultura occidentale”. (Aldo Maiorano).
Giovedì 5 giugno 1980 “Il Diario di Napoli” pubblicava il mio 19° articolo: “Il nobile gesto di Giordano Bruno. Conferenza del prof. L. Firpo”.
Martedì 3 giugno, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, fondato dall’avvocato Gerardo Marotta, in occasione della presentazione del progetto di edizione nazionale delle opere complete di Giordano Bruno, promosso dall’Istituto stesso, il prof. Luigi Firpo dell’Università di Torino ha tenuto una conferenza sul tema: “Il processo di Giordano Bruno”. Tale iniziativa ha rappresentato, senza alcun dubbio, il degno coronamento di un precedente ciclo di lezioni svolto dallo stesso prof. Firpo, nei giorni 31 maggio e 2 giugno scorsi, sul tema “Rapporti fra politica e morale nel Rinascimento”. In tale occasione era stata solennemente inaugurata, nella sala G. B. Vico della Biblioteca dei Girolamini ed alla presenza di numerose autorità, la Scuola di Studi Superiori in Napoli, fondata dall’Istituto in ideale legame con la grande tradizione delle scuole napoletane: dalla seicentesca Repubblica delle Lettere ai circoli illuministici di Mario Pagano e Domenico Cirillo, dalle scuole private dell’Ottocento all’università di Francesco De Sanctis e di Bertrando Spaventa, dall’insigne magistero crociano fino all’Istituto Italiano per gli Studi Storici. Ed, indubbiamente, tale significativo avvenimento costituisce un’ulteriore testimonianza della persistente vitalità della secolare cultura filosofica italiana e, ci sia consentito affermarlo, napoletana e meridionale in particolar modo, che sembra, peraltro proprio in questi ultimi tempi, esprimere rinnovati segni di vivacità speculativa. Uno dei più degni rappresentanti di tale cospicua tradizione filosofica del Mezzogiorno d’Italia è stato, senz’altro, proprio il nolano Giordano Bruno, il quale, anzi, impresse su di essa, come ha giustamente rilevato il Franchini, “un sigillo di nobiltà ineguagliabile”, scontando sul rogo “la sua fedeltà al pensiero”. È, infatti, noto a tutti che il Bruno, consegnato nelle mani dell’Inquisizione di Roma e dopo otto anni di duro carcere, fu arso vivo il 17 febbraio del 1600 in Campo dei Fiori, proprio in seguito al suo tenace ed eroico rifiuto di rinnegare le sue convinzioni filosofiche, maturate in lunghi anni di sofferta e peregrinante meditazione. Fu il suo un caso esemplare di repressione dell’autonomia del pensiero e, al tempo stesso, un’alta testimonianza etica della dignità di ogni vero filosofare. È quanto lo stesso prof. Luigi Firpo ha ampiamente riconosciuto nella sua suggestiva e documentata conferenza, sottolineando esplicitamente, di fronte ad un attento e folto uditorio, i principi della tolleranza e della libertà di pensiero così tragicamente affermati nel nobile gesto del Filosofo nolano. Preceduta da un’introduzione dello storico Giuseppe Galasso, che presiedeva la riunione, la relazione del prof. Firpo si è soffermata a considerare tre principali problemi: la difficile questione dell’edizione completa delle opere, italiane e latine, del Bruno; la ricostruzione del processo che lo vide protagonista insieme al suo principale accusatore, il teologo Roberto Bellarmino ed, infine, il significato della figura e dell’opera del Bruno nella storia del pensiero. Il prof. Firpo ha, inoltre, sapientemente tratteggiato in un compiuto ritratto, la personalità inquieta e insofferente del Bruno, che – come ebbe già a scrivere il Windelband – “allo slancio superbo del suo pensiero immaginoso univa una sfrenata passionalità, un’esuberante ambizione e un’audace mania di agitazione”. (Aldo Maiorano).
Sabato 21 giugno 1980 “Il Diario di Napoli” pubblicava, con il titolo “Conferenza su Hegel del filosofo Guzzo. Le vicende dell’hegelismo napoletano tra ‘800 e ‘900”, il mio articolo n.° 20.
Giovedì 19 giugno, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, al viale Colascione 7, il prof. Augusto Guzzo dell’Università di Torino ha tenuto una conferenza sul tema: “Hegel ieri, oggi, domani”, concludendo in tal modo degnamente il quinto anno di attività dell’Istituto, fondato nel marzo del 1975 dall’avv. Gerardo Marotta. Nato nel 1894 a Napoli ed allievo di Sebastiano Maturi, Augusto Guzzo dirige dal lontano 1950 la rivista “Filosofia” ed è autore di numerose opere filosofiche, quali: “Apologia dell’idealismo” (1925), “Giudizio ed azione” (1928), “Idealismo e Cristianesimo” (1936), “L’uomo” (1944), “L’io e la ragione” (1947), “La moralità” (1950), “L’arte” (1962). Docente di Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino, egli è altresì l’autore di un ampio studio sui problemi della scienza e, proprio dalla sua scuola, è uscita, ad opera di Francesco Barone, la più informata monografia italiana sul neopositivismo logico. Oltre al Barone, sono stati allievi di Augusto Guzzo anche V. Mathieu, C. Rosso e V. Verra ed è stato proprio quest’ultimo, alla presenza di un numeroso pubblico, ad introdurre con brevi parole la relazione del maestro, soffermatasi, in particolar modo, a rievocare le vicende dell’hegelismo napoletano di fine ‘800 e gli sviluppi che al pensiero hegeliano daranno, fin dagli inizi del nostro secolo, in aperta polemica con l’imperante positivismo, sia il Croce che il Gentile. Quello Hegel, tra l’altro, di cui l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, come ebbe a scrivere già lo stesso Augusto Guzzo nell’ottobre 1979 “sembra voler riprendere e continuare la tradizione dello studio fattone a Napoli nell’Ottocento”, fin da quando, nel 1860, cioè, “appena unita Napoli al Regno d’Italia, Francesco De Sanctis, ministro dell’Istruzione, per rinnovare l’Università di Napoli, nomina come professori di filosofia l’abruzzese Bertrando Spaventa, trasferendolo da Bologna a Napoli, e l’umbro Augusto Vera, facendolo venire da Parigi”. Ricostruite con felici tocchi tali lontane vicende, il prof. Augusto Guzzo si è poi ampiamente soffermato sulla figura di Sebastiano Maturi, suo maestro al Liceo Umberto I di Napoli dal 1908 al 1911 e poi suo amico fino al 1917, anno della morte, rievocando, altresì, la prolusione antimasciana del Gentile al corso di libera docenza, di cui il filosofo, ormai vecchio, ebbe poi a pentirsi e la dura polemica intercorsa tra il Croce e lo stesso prof. Filippo Masci, “un insegnante – scriveva il Croce nel 1909 – “il quale, avendo avuto l’onore di succedere a Bertrando Spaventa, ha saputo per 20 anni mortificare nella gioventù universitaria meridionale ogni spirito speculativo, sostituendo all’alacre ricerca l’apprendimento mnemonico di certe sue dispense mal compilate”. Eccezionale testimone storico della cultura italiana degli ultimi settanta anni ed egli stesso indiscusso protagonista, il prof. Guzzo ha infine concluso la sua relazione, dopo aver anche accennato alla “Filosofia dello Spirito” di Benedetto Croce e all’Atto Puro di Giovanni Gentile, invitando quanti si cimenteranno nuovamente nell’esegesi dei testi dello Hegel a guardare nel filosofo tedesco in specie “lo storico pensante”. Nel corso della sua conferenza, che sarà tra breve pubblicata in volume nella collana di Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il prof. Augusto Guzzo ha poi donato all’avv. Gerardo Marotta e alla sua ricchissima biblioteca, un suo raro quaderno di appunti di filosofia, risalente agli anni 1908 – 1909, anni in cui il filosofo frequentava il liceo classico Umberto I, allievo di Sebastiano Maturi. Un gesto, questo di Guzzo, che l’avv. Gerardo Marotta, appassionato bibliofilo, avrà sicuramente gradito. (Aldo Maiorano).
Il 21° articolo fu pubblicato da “Il Diario di Napoli” domenica 3 – lunedì 4 agosto 1980, il giorno dopo il terrificante attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Titolo dell’articolo: “Una nuova rivista: “Libro aperto”.
In un articolo de “L’Espresso” del settembre 1978 Giovanni Sabbatucci così scriveva: “La cultura politica liberal-democratica sta vivendo oggi una specie di seconda giovinezza…Per rendersene conto, basta dare uno sguardo alle riviste più impegnate in questa prospettiva, come “Nord e Sud”…o come la liberale “Biblioteca della Libertà””. Nello scorso anno, quasi a confermare tale giudizio, i nostri più diffusi settimanali e riviste ospitavano un interessante quanto vivace dibattito culturale sulle opere di K. R. Popper e R. Dahrendorf, due eminenti pensatori liberali rimasti, fino ad allora, pressoché ignoti al grosso pubblico italiano. Un ulteriore segno della rinata vivacità della cultura liberale e democratica in Italia è, oggi, costituito dalla recente fondazione di una nuova rivista di idee politiche che, a tale area largamente intesa, desidera esplicitamente ispirarsi, pur nel fattivo ed aperto scambio di opinioni con altre e diverse forze culturali e politiche. Il nome della rivista, di cui è appena uscito il primo numero, è “Libro Aperto”: avrà periodicità bimestrale e conterrà alcuni “Saggi” e “Articoli”, varie “Letture e riletture”, oltre a “Note” e “Documenti vecchi e nuovi”: Fra i temi privilegiati di “Libro Aperto” rientreranno i movimenti ideali e culturali, i movimenti politici e sociali, le evoluzioni economiche connesse con la politica, gli avvenimenti internazionali, ritratti critici di pensatori e personalità liberali italiane e straniere etc..”“Libro Aperto” si rivolgerà anche a collaboratori competenti su determinati argomenti ma che non appartengono all’area liberal – democratica o anche ne sono lontani. Anch’essi scriveranno in piena libertà e nella loro particolare ottica, che “Libro Aperto” pregherà di definire per chiarezza nei rapporti coi lettori”. Direttore responsabile della rivista è Ercole Camurani, il quale fa anche parte del Comitato Editoriale composto da numerose personalità (giornalisti, filosofi, economisti, politici) quali, tra gli altri, Enzo Bettiza, Raffaello Franchini, Giovanni Malagodi, Antonio Martino, Federico Orlando, Max Salvadori, Salvatore Valitutti, Valerio Zanone. Scopo principale della nuova rivista è “combattere dappertutto per difendere ed allargare le frontiere ideali e politiche delle libertà democratiche”, un compito, questo, oggi più che mai indifferibile specie per un rinnovato liberalismo etico – politico che voglia realmente “impegnarsi fino in fondo nei problemi della società di massa”, in puntuale contrapposizione “alle visioni autoritarie, statalistiche e totalitarie” e in una prospettiva di “dialettica collaborazione” con tutte le forze democratiche. Il primo numero di “Libro Aperto” ospita gli interventi di Urs Schottli, “L’ora del liberalismo”; di Roberto Gaja, “Introduzione alla politica estera degli anni ‘ 80”; di Giuliano Urbani, “Riflessioni neocostituzionaliste”; di Federico Orlando, “DC: chi è, dove va. Anatomia di un paradosso”; di Maurizio Parasassi, “Il dramma economico dell’Italia”. Il fascicolo si chiude con uno scritto di Herman Hesse, “A che cosa crede il poeta”, tratto dal volume “Una biblioteca della letteratura universale”, pubblicato in Italia dalla casa editrice Adelphi. (Aldo Maiorano).
Il 22° articolo fu pubblicato da “Il Diario di Napoli” mercoledì 1 ottobre 1980: “5 miliardi e 100 milioni agli Istituti Culturali. E per il Mezzogiorno? Solo pochi spiccioli”, con annessa tabella dei contributi della proposta di legge Amalfitano e un articolo di Vincenzo Nucci.
Ai sensi dell’art. 1 della proposta di legge 2 aprile 1980 n. 123, recante norme per l’erogazione di contributi statali ad enti culturali, si è stabilito di elencare, in una apposita tabella, gli istituti culturali ammessi al contributo annuale dello Stato. Si tratta, cioè, di 167 istituti, enti e fondazioni designati in base a tre criteri fondamentali: a) il loro “rilevante valore culturale”; b) la promozione e lo svolgimento di “attività di ricerca”; c) il possesso di “attrezzature idonee” e di un “programma che abbracci almeno un triennio”. Per articolare in modo più compiuto la ripartizione dei contributi tra i beneficiari, gli istituti sono stati, inoltre, suddivisi in nove gruppi, secondo settori omogenei di attività: Istituti di carattere generale, Istituti si scienze storiche, Istituti di scienze filosofiche, giuridiche, sociali e politiche; Istituti di filologia, linguistica e letteratura; Istituti d’arte; Istituti di musica e teatro; Istituti di scienze matematiche, fisiche e naturali; Istituti di scienze mediche e biologiche; Istituti internazionali. La somma complessivamente stanziata è di circa 5 miliardi e 100 milioni di lire. Nella tabella, infine, sono elencati anche quegli enti che risultavano già assegnatari di un finanziamento stabilito dal Parlamento. A Napoli gli istituti che beneficeranno della legge sono cinque: l’Accademia Pontaniana, con un contributo finanziario di 15 milioni di lire; la Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti (35 milioni); la Società Napoletana di Storia Patria (8 milioni); la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce (10 milioni) ed, infine, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (20 milioni). L’Istituto Italiano per gli Studi Storici si è, invece, volontariamente escluso dal contributo della legge Amalfitano “per tener fede” – come ci ha dichiarato il direttore dell’istituto, prof. Giovanni Pugliese Carratelli, “ad un desiderio di indipendenza costantemente espresso dal suo fondatore Raffaele Mattioli, il quale, già in una precedente occasione, declinò un’autorevole proposta di intervento dello Stato”. Contro i 5 enti napoletani hanno ottenuto il finanziamento a Roma ben 43 istituti; 10 a Milano; 7 a Torino; 11 a Bologna; 16 a Firenze e 8 a Venezia. Qualche esempio: a Roma l’Associazione per lo sviluppo delle scienze religiose in Italia beneficia di un contributo di 56 milioni di lire. Sempre a Roma 50 milioni di lire vanno all’Associazione Don Giuseppe di Luca. A Siena 10 milioni di lire vanno all’Accademia italiana della vite e del vino. Ancora a Roma 50 milioni è la cifra destinata all’istituto internazionale “J. Maritain”, “un istituto fantasma”, come l’ha definito “L’Espresso” in un articolo del 15 giugno 1980. Un lapidario quanto autorevole commento: “si disattende” – ha scritto “La Stampa” del 10 maggio scorso – “la raccomandazione del Parlamento per le fondazioni meridionali, assegnando soltanto 20 milioni all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, celebrato in Italia e all’estero per l’altissima attività di ricerca e per la sua biblioteca di 120.000 volumi”. La raccomandazione del Parlamento di cui si parla è l’ordine del giorno, votato all’unanimità, della VIII Commissione Permanente Istruzione e Belle Arti della Camera dei Deputati, in data 19 marzo 1980. Il testo è, infatti, più che esplicito al riguardo: “La VIII Commissione della Camera dei Deputati invita il Governo, nella definizione dei contributi ordinari e straordinari previsti dalla proposta di legge Amalfitano ed altri a tenere particolarmente conto delle istituzioni culturali che operano o intendono operare per la promozione del patrimonio culturale del Mezzogiorno”. Ma, evidentemente, tale invito è caduto nel vuoto dal momento che, come risulta dalla tabella da noi elaborata e qui sotto riprodotta, ad essere penalizzate sono state proprio le fondazioni meridionali che, sui cinque miliardi e più della somma complessivamente stanziata, hanno ottenuto solo 190 milioni, appena il 3,6% del totale. Tale sperequazione viene sottolineata, non senza malizia, anche da “L’Espresso”, sempre nel numero del 15 giugno 1980, dove, accanto alla Fondazione Einaudi, premiata con un contributo di 300 milioni, viene menzionato con grande rilievo proprio l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici che, con la sua Scuola di Studi Superiori, con la sua ricca Biblioteca, con la sua attività di alto livello e con il suo comitato scientifico dove figurano i nomi di Hans Georg Gadamer, Paul Dibon, Tullio Gregory e Luigi Firpo, ha invece ottenuto un contributo di soli 20 milioni. All’avvocato Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, e alla signora Alda Croce, figlia del Filosofo e Presidente della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, abbiamo chiesto il loro parere in merito. Ecco, qui di seguito, quanto ci hanno dichiarato: “Ci auguriamo che il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali voglia concentrare sempre più la sua attenzione sui problemi di Napoli. I consensi che ha suscitato l’inaugurazione della Scuola di Studi Superiori in Napoli ci fanno sperare che l’impegno del Ministero per la stipula della Convenzione per la concessione dell’edificio dei Girolamini all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, per consentirgli di collocarvi la sua grande biblioteca e di svolgervi l’attività della Scuola, si concretizzi nei prossimi giorni, in modo da permettere l’inizio delle lezioni per il prossimo mese di ottobre. Questo è l’impegno che ci attendiamo dal Ministro per i Beni Culturali: che il monumentale edificio dei Girolamini, attualmente inutilizzato, venga destinato al degnissimo fine di dare a Napoli una Scuola di Studi Superiori. È un’occasione irripetibile per la città di Napoli e per tutto il Mezzogiorno”. (Aldo Maiorano).
Giovedì 6 novembre 1980 “Il Diario di Napoli” pubblicava il mio 23° ed ultimo articolo, dal titolo “Un’inchiesta della rivista Nostro Tempo: l’anti-Croce non è ancora nato?”.
Il 4 novembre 1980 il Direttore de “Il Diario di Napoli” Massimo Caparra era stato “spogliato dei suoi poteri” di direzione del quotidiano. Il 23 novembre 1980 un fortissimo terremoto, con epicentro in Irpinia, contribuirà a modificare il corso degli eventi della mia vita.
Benedetto Croce è stato, per tutto il mondo, l’autore dell’”Estetica”: né, del resto, il Croce rimase mai fermo solo a quel gran libro del 1902. Continuò, anzi, primo critico di se stesso, il suo discorso estetico, sviluppandolo e approfondendolo in altri numerosi scritti, dal “Breviario d’Estetica” del 1912 all’”Aesthetica in nuce” del 1929 fino alla “Poesia” del 1936 ed oltre ancora. E la cultura italiana fu, per lungo tempo, influenzata, e non senza beneficio, dalla critica estetica del Croce che riprendeva, innovandola vigorosamente, la grande tradizione di pensiero che da Vico conduce a Kant, Hegel e De Sanctis. Successivamente, negli ultimi venti anni della nostra storia, si è invece assistito ad una sorta di reazione anti-crociana. Il pensiero estetico del Croce è stato oggetto di innumerevoli e non sempre rigorose critiche e dichiarato oramai superato da nuove metodologie: dallo strutturalismo linguistico alla psicoanalisi, dal marxismo alla sociologia. D’altro canto, e in una parte non trascurabile della nostra più seria e vitale cultura, l’estetica del Croce ha continuato ad esercitare la sua efficacia e, ad essa, si sono richiamati e tuttora si richiamano studiosi e uomini del valore di Carlo Antoni, di Francesco Flora, di Alfredo Parente, di Carlo Ludovico Raggianti, di Mario Sansone, alcuni dei quali hanno altresì auspicato un maggiore dialogo con le più feconde teorie moderne. Ma, qual è oggi, allora, lo stato effettivo in cui versano l’estetica e la critica italiana? Si è realmente operato qualche progresso rispetto all’estetica crociata? Quanta influenza, nel bene e nel male, hanno avuto gli studi di linguistica contemporanea? A tali e simili domande ha cercato di rispondere, nel suo ultimo fascicolo appena pubblicato, la rivista mensile di Cultura, Arte, Vita “Nostro Tempo”, diretta con acuta sensibilità da Maria T. Cristofano e G. Vittorio Paolozzi. “Nostro Tempo” ha, infatti, interpellato su questi problemi numerosi e noti studiosi italiani, allo scopo, come scrive il suo direttore G. V. Paolozzi in una breve nota introduttiva al fascicolo, di “fare il punto sull’estetica contemporanea”. Ne è venuta fuori un’inchiesta di grande interesse ed utilità, che si è avvalsa dei contributi, spesso ovviamente diversificati sia per il tono sia per l’impostazione, di Rosario Assunto (Università di Urbino), Mauro Boncompagni (Università di Genova), Giuseppe Brescia (ordinario nei Licei), Leonardo Cammarano (sociologo), Stelio Di Bello (Università di Napoli), Raffaello Franchini (Università di Napoli), Angelo Mele (critico), Antonio Piromalli (Università di Salerno), Carlo Ludovico raggianti (Università di Pisa), Mario Sansone (Università di Bari), Vittorio Stella (Università di Roma), Vincenzo Vitiello (Università di Salerno), Nicolae Tertulian (Università di Bucarest), Tullio Bressan (critico) e Alfredo Parente (Direttore della “Rivista di Studi Crociani”). A conclusione del bel fascicolo di Nostro Tempo, di cui consigliamo vivamente la lettura, Ernesto Paolozzi traccia un breve ma efficace consuntivo dell’inchiesta, opportunamente rilevando i contributi più interessanti ed originali dei vari intervistati, che, così egli scrive, “anche i più ostili al Croce”, hanno tutti “riconosciuto di essere in qualche modo debitori del filosofo napoletano”.
(Aldo Maiorano).
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