Delle Maremme, immortalate tra gli altri, da Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, Renato Fucini, Guido Piovene, Carlo Cassola, Luciano Bianciardi e da Eugenio Cecconi, Giovanni Fattori e Paride Pascucci, i Monti dell’Uccellina sono, ancora oggi, uno dei luoghi senza alcun dubbio più affascinanti e suggestivi, con gli imponenti ruderi romanici dell’Abbazia Benedettina di Santa Maria Alborense (oggi San Rabano), tra cui, secondo la leggenda, sarebbero ancora nascosti ingenti tesori protetti da fantasmi e strani incantesimi. Come ha ricordato qualcuno, il grossetano che, ancor oggi, si affacci alla finestra, e guardi a mezzogiorno, li vede lì, a due passi, “quei monti azzurri”, avvolti dall’aura del prestigio e dell’ antico fascino poetico. E, ancor oggi, nonostante uno sviluppo inarrestabile e pervasivo ma non sempre sinonimo di progresso, l’Alberese resta, tuttavia, una delle porte d’accesso privilegiate a questo vero e proprio altro mondo, in larga misura ancora incontaminato e intatto, tutelato e protetto nel suo inestimabile valore paesaggistico, ambientale e storico dal Parco Regionale della Maremma. Di questo lembo di Maremma fu cantore e già, al tempo stesso, nostalgico ammiratore Eugenio Niccolini, affascinato frequentatore, verso la fine dell’800, di queste terre allora ancora tanto più selvagge: terre di bracconieri e cacciatori girovaghi, di banditi e randagi compagni di disperate imprese. Un mondo di foreste e di paduli, di botri e di forteti, di pianure e di montagne, fino al mare. Posti buoni per la caccia. Per tutte le cacce: ai cinghiali e alle folaghe, ai germani e ai beccaccini, alle volpi e ai caprioli. E in tutti i climi: con la grandine e le gelate, con il grecale e gli acquazzoni, con il sole spaccapietra e l’umido palustre. Ma chi era Eugenio Niccolini? Nato a Firenze nel 1853 e morto nel 1939 fu marchese di Camugliano e Ponsacco e, alla fine dell'Ottocento, ricoprì varie cariche di prestigio: fu consigliere provinciale e sindaco di Prato e nel 1913 venne nominato senatore del Regno d’Italia. Nel 1879 Eugenio Niccolini aveva sposato l'ultima discendente della famiglia Naldini, che portò in dote, assieme a numerosi beni, anche il palazzo di Piazza del Duomo a Firenze. Viene anche ricordato per le sua grande maestria nell'arte venatoria e la sua vita trascorse quasi tutta nelle tenute del Forte delle Rocchette, nei pressi di Castiglione della Pescaia, dove ebbe modo di conoscere foschi personaggi quali Tiburzi e Fioravanti, ma anche grandi artisti come Carducci e D’Annunzio, Fabbroni e Paolieri, Fucini, Ugolini ed Eugenio Cecconi. Proprio quest’ultimo ebbe modo di impreziosire, con riproduzioni delle sue opere, la prima edizione del volume Giornate di caccia, pubblicato per la prima volta nel 1915 e più volte ristampato fino al 1990, senza alcun dubbio uno dei più bei libri a soggetto venatorio mai pubblicati nel nostro Paese e in cui, ancora oggi, il Niccolini ci fa rivivere azioni di caccia dense di emozioni, luoghi (dal Circeo a Capalbio ai Monti dell’Uccellina all’Alberese), personaggi e la struggente suggestione dei paesaggi descritti.
Fu Giosuè Carducci, secondo quanto ci riferisce lo stesso autore, a suggerirgli la prima idea ed a incoraggiarlo per primo affinché mettesse per iscritto le sue memorie di caccia e D’Annunzio elogiò la sua scrittura ed, offrendosi di scrivere la prefazione, lo esortò a raccontare queste meravigliose storie che altrimenti non avremmo mai conosciute: storie di uomini e di animali, scritte sempre con stile asciutto, ma mai scarno e prosaico. È del 1993, invece, la sua raccolta inedita intitolata Altre giornate di caccia. All’Alberese, in località Poggio della Vacchereccia, Niccolini affittava una casetta, punto di partenza delle sue scorribande venatorie. Di recente, nel bel volume a cura di Felicita Scapini e Mariella Nardi, pubblicato nel 2007 dall’editore Pacini col titolo Il Parco Regionale della Maremma e il suo territorio, di Eugenio Niccolini e del suo bel libro, è tornato ad occuparsene Nicola Baccetti, nel suo breve saggio, intitolato I monti dell’Uccellina e il padule di Alberese nelle pagine di Eugenio Niccolini: qualcosa di più di un bozzetto di fine Ottocento. Attraverso la letteraria prosa di Niccolini, rivive quella Maremma d’Alberese persa per sempre: Nei primi di Febbraio dell’81…eravamo a caccia all’Alberese…In quei tempi la via Aurelia dalla Fattoria a Piscina Statua, dove è ora la stazione ferroviaria, attraversava una magnifica foresta di querci che da una parte si univa ai forteti dell’Uccellina, dall’altra circondava il padule, e fra boschi folti di olmi secolari e di marruche, si estendeva fino ai forteti di Montiano. Si raccontava che un uomo poteva andare dalla Fattoria a Piscina Statua come uno scoiattolo passando di ramo in ramo senza mai toccar terra. Come annota il Baccetti, Il padule dell’Alberese, del quale non resta traccia alcuna, non è mai stato così ben descritto nelle proprie caratteristiche ambientali e faunistiche, coi suoi paglieti e le sue strette valli acquitrinose sotto le querci e le sughere di Piscina Buia, le beccacce e i germani in lunghe file, le morette e le folaghe, i lecci e le sughere. Della Maremma, poi addomesticata, il cacciatore Niccolini ti fa sentire tutto il fascino: La valle profonda di Castelmarino, la Pineta fino al mare, le Grotte nere nella scogliera illuminate dalla luna, in quel silenzio, in quella solitudine erano uno spettacolo così bello e solenne che mi dava un piacere che non so dire: sentivo in quel momento come la vicinanza di un compagno avrebbe turbato l’incanto. Al tempo stesso, la nostalgia di questi luoghi a lui sacri si trasforma in lamento per la loro incipiente profanazione. Nella nostra vecchia Maremma, poco più rimane di quanto ne dipinse il Cecconi o di quanto come una leggenda di antichi tempi, ne raccontiamo noi che le abbiamo sopravvissuto. Ad assistere alla sua fine erano accorsi da ogni parte, ma essa sottrattasi agli occhi dei profani esalò l'anima senza che se ne accorgessero nemmeno i presenti. I vecchi olmi lasciavano piegare i loro rami avvolti nelle vitalbe e spioventi a toccare i prati delle valli palustri; le querci, le sughere, i lecci coprivano della loro ombra maestosa le colline; i monti più alti erano ancora coperti da neri forteti, quando già la vita maremmana era scomparsa. L'anima se ne era andata quando il corpo pur digradando vegetava ancora. Io ricordo, come se l'avessi davanti agli occhi, l'arrivare dei primi greggi nella Maremma, d'ottobre ancora deserta, e i cinghiali che spaventati dai pastori abbandonavano i piani, dove erano stati tranquillamente tutta l'estate, per rifugiarsi nei forteti.
Eppure, nonostante tutto, e a maggior ragione per il visitatore che dalle città si ritrova a visitare questi luoghi oramai bonificati e sempre più valorizzati dal punto di vista agricolo e turistico, ancora oggi si resta rapiti dalla bellezza del paesaggio e si può ancora correre il rischio di venire piacevolmente contagiati da quello strano morbo che prende il nome di…Mal di Maremma!
A cura di Aldo Maiorano
1. Eugenio Niccolini, Giornate di caccia, Firenze, Vallecchi, 1990
2. Nicola Baccetti, I monti dell’Uccellina e il padule di Alberese nelle pagine di Eugenio Niccolini: qualcosa di più di un bozzetto di fine Ottocento, in Il Parco Regionale della Maremma e il suo territorio, volume a cura di Felicita Scapini e Mariella Nardi, Pisa, Pacini, 2007
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