Sigmund Freud e la pedagogia
Nella sua “Introduzione alla psicoanalisi” Freud definisce l’applicazione della psicoanalisi alla pedagogia e all’educazione come un tema “estremamente importante, ricchissimo di promesse per il futuro, forse il più importante dei compiti dell’analisi”. Così egli motiva la sua convinzione. “Allorché, nel trattamento di un nevrotico adulto, ricercavamo ciò che aveva determinato i suoi sintomi, venivamo regolarmente ricondotti fino alla sua infanzia…Fummo così costretti a prendere dimestichezza con le particolarità psichiche dell’età infantile…Riconoscemmo che ai primi anni di vita (all’incirca fino al quinto) spetta, per varie ragioni, una particolare importanza”. Freud accenna a due motivi fondamentali:
1. “In primo luogo, perché i primi anni di vita comprendono il primo germogliare della sessualità, il quale lascia dietro di sé sollecitazioni decisive per la vita sessuale della maturità;
2. In secondo luogo, perché le impressioni di questo periodo colpiscono un Io incompiuto e debole, sul quale agiscono come traumi.”
Secondo Freud, “la difficoltà dell’infanzia consiste nel fatto che il bambino deve far propri, in un breve spazio di tempo, i risultati di un’evoluzione culturale che si estende per migliaia d’anni, ossia il dominio delle pulsioni e l’adattamento sociale o perlomeno l’inizio di entrambi.”
“Il bambino” – secondo Freud – “giunge a modificarsi soltanto in parte per sviluppo autonomo; molto gli deve essere imposto dall’educazione. Nessuna meraviglia che spesso egli riesca a realizzare solo imperfettamente questo compito”. Freud tenta, poi, di chiarire quale sia il compito più immediato dell’educazione. “Il bambino deve imparare a padroneggiare le pulsioni, ma dargli la libertà di seguire senza limiti i suoi impulsi è impossibile…L’educazione deve quindi inibire, proibire, reprimere e ha anche abbondantemente provveduto a farlo in tutti i tempi. Ma dall’analisi abbiamo appreso che proprio questa repressione delle pulsioni comporta il pericolo della malattia nevrotica…L’educazione deve quindi cercare una via fra Scilla del lasciar fare e Cariddi del divieto frustrante. Se il compito non è assolutamente insolubile, dev’essere trovato un optimum per l’educazione, in modo che essa possa ottenere il massimo e nuocere il minimo. Si tratterà perciò di decidere quanto si può proibire, in quali periodi e con quali mezzi. E si deve poi tener conto anche del fatto che coloro che sono sottoposti alla nostra influenza educativa sono dotati di disposizioni costituzionali molto diverse, così che è impossibile che lo stesso procedimento educativo sia ugualmente valido per tutti i bambini”. Freud ritiene che l’educazione abbia finora assolto malissimo il suo compito, arrecando “grave danno ai bambini”. Sulla base delle sue considerazioni e tenendo conto dei difficili problemi che si presentano all’educatore – tra cui “la costituzionalità specifica del bambino”, la difficoltà “di indovinare da piccoli indizi che cosa si svolga nella sua vita mentale incompiuta”, la necessità di “accordargli tutto l’amore che gli spetta pur mantenendo un sufficiente grado d’autorità” – Freud arriva alla conclusione che “l’unica preparazione adeguata alla professione d’educatore è un addestramento psicoanalitico approfondito”. Anzi, egli auspica che gli insegnanti e gli educatori sperimentino innanzi tutto sulla propria persona l’analisi, riferendo che i “genitori che l’hanno provata e le sono in larga misura debitori – tra l’altro della conoscenza degli errori della propria educazione- tratteranno i loro figli con maggior discernimento e risparmieranno a questi ultimi cose sbagliate che a loro stessi non erano state risparmiate”.
sabato 2 aprile 2011
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