domenica 18 luglio 2010

Edgar Morin e la missione di insegnante



Come scrive Edgar Morin, educare è più di una funzione o professione.

“Il carattere funzionale dell’insegnamento riduce l’insegnante a un semplice impiegato. Il carattere professionale dell’insegnamento porta a ridurre l’insegnante all’esperto. L’insegnamento deve ridiventare non più solamente una funzione, una specializzazione, una professione, ma un compito di salute pubblica: una missione.
Una missione di trasmissione.
La trasmissione richiede certamente competenza, ma richiede anche, oltre a una tecnica, un’arte.
Essa richiede ciò che nessun manuale spiega, ma che Platone aveva già indicato come condizione indispensabile di ogni insegnamento: l’eros, che è allo stesso tempo desiderio, piacere e amore, desiderio e piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per gli allievi. L’eros permette di tenere a bada il piacere legato al potere, a vantaggio del piacere legato al dono. È ciò che in primo luogo può suscitare il desiderio, il piacere e l’amore dell’allievo e dello studente.
Là dove non c’è amore, non ci sono che problemi di carriera, di retribuzione, di noia per l’insegnamento.
La missione suppone evidentemente la fede, in questo caso la fede nella cultura e nelle possibilità della mente umana.
La missione è dunque molto elevata e difficile, poiché suppone, nello stesso tempo, arte, fiducia e amore. Eros, missione e fede costituiscono il circuito ricorsivo della trinità laica, in cui ciascun termine alimenta l’altro.
Ricapitoliamo i tratti essenziali della missione di insegnante:
- fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali;
- preparare le menti a rispondere alle sfide che pone alla conoscenza umana la crescente complessità dei problemi;
- preparare le menti ad affrontare le incertezze, in continuo aumento, non solo facendo loro conoscere la storia incerta e aleatoria dell’Universo, della vita, dell’umanità, ma anche favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore;
- educare alla comprensione umana fra vicini e lontani;
- insegnare l’affiliazione…alla sua storia, alla sua cultura, alla cittadinanza repubblicana e iniziare all’affiliazione all’Europa;
- insegnare la cittadinanza terrestre, insegnando l’umanità nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali, così come nella sua comunità di destino caratteristica all’era planetaria, nella quale tutti gli umani sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali.
Le cinque finalità educative sono legate fra loro e devono nutrirsi a vicenda (la testa ben fatta che ci fornisce l’attitudine a organizzare la conoscenza, l’insegnamento della condizione umana, l’apprendistato alla vita, l’apprendistato all’incertezza, l’educazione alla cittadinanza). Esse devono suscitare la rinascita della cultura attraverso la connessione delle due culture (umanistica e scientifica) e contribuire alla rigenerazione della laicità e alla nascita di una democrazia cognitiva”.

(Da Edgar Morin, “La testa ben fatta”, Raffaello Cortina Editore)

Pedagogico omaggio a un filosofo liberale non pedagogista: Raffaello Franchini

In un vecchio quaderno di appunti ho ritrovato, quasi per caso, in una nota da me scritta in data 7 dicembre 1988, i seguenti suggerimenti di Raffaello Franchini, tratti ed estratti da un suo articolo per la rivista “Criterio”, da lui fondata nel 1983 e diretta fino alla sua morte, avvenuta il 19 settembre 1990.
L’articolo, dal titolo “Insegnare all’Università: esperienze di un non pedagogista”, fu pubblicato sul numero 3, anno VI, autunno 1988, della rivista “Criterio”.

Spero di averne fatto tesoro nella mia attività di insegnante di ruolo, prima nella scuola media statale o secondaria di primo grado e, successivamente, nella scuola superiore. Provo a riassumerli, in omaggio alla sua memoria, sotto forma di decalogo pedagogico:

1. Qualunque sia il livello d’insegnamento a cui un docente è preposto, egli deve dare il massimo di sé, ossia non scendere mai al livello dei discenti, che per forza di cose è più basso, ma aiutare questi ultimi a salire verso una sfera più alta, dove poi l’incontro, inizialmente difficile, diventerà più agevole e compiuto.
2. Chi insegna, se vuole davvero rinnovarsi, deve a sua volta imparare, ossia arricchire senza posa la sua cultura.
3. I ragazzi non amano le confusioni dei ruoli e anzi desiderano un minimo di autorità che li guidi e li corregga. Se l’autorità diventa autoritarismo è un male, ma non è minore il male opposto dell’anarchia.
4. Bisogna tener conto dell’effetto a scoppio ritardato delle lezioni, per cui tra alunno e professore si stabilisce un contatto e una forma di espansione straordinaria, che si prolunga nello spazio e nel tempo.
5. Gradualità, pazienza, soprattutto lo sforzo di comunicare con i giovani, di essere perciò chiari, la continuità delle lezioni e un controllo agli esami che non sia affetto da lungaggini e da eccessiva severità e ancora meno da rovinosi lassismi.
6. Tenere sveglio, senza distrarlo, l’uditorio talvolta anche con piacevoli parentesi o allusioni non prive di qualche ironia e umorismo.
7. Stimolare nei più giovani il senso critico, la capacità di distinguere, la ripugnanza a inghiottire dogmi e ad accettare il potere e le prepotenze senza nemmeno l’abbozzo di una rivolta morale.
8. Interessare gli alunni alla lezione, perché un alunno interessato difficilmente sarà anche indisciplinato.
9. Mantenere la disciplina è un’arte più pratica che teorica, più innata che appresa dall’esperienza, strettamente connessa alla prontezza dei riflessi e alla percezione, alla preparazione, alla misura, all’eloquenza, alla memoria e soprattutto alle capacità di suscitare interesse da parte dell’insegnante.
10. Una qualità che l’insegnante dovrebbe possedere – ma assai rara – è l’ironia, che però non deve mai degenerare in sarcasmo.