sabato 20 marzo 2010

Croce e Pinocchio

A Carlo Lorenzini e, in particolare, al suo capolavoro, Benedetto Croce dedica il XXIX capitolo del 5° volume de “La letteratura della nuova Italia”, quattro pagine dal titolo semplice e quasi lapidario di “Pinocchio”. Pubblicato nel 1883, “uno degli anni più veramente feraci della letteratura della nuova Italia, perché vennero fuori allora, tutt’insieme, alcune delle opere geniali del Carducci, del Verga, della Serao, del D’Annunzio, del Di Giacomo e di altri”, Benedetto Croce lo definisce come “il più bel libro della letteratura infantile italiana”. Un libro, tuttavia, che non meritava di essere passato “sotto silenzio” in una storia letteraria perché, argomenta ancora il Croce, non si tratta solo di un libro appartenente “alla speciale e ordinaria letteratura infantile congegnata e calcolata per bambini, perché in questo caso si tratterebbe di un più o meno abile prodotto pedagogico o altrimenti pratico, privo di vita e pregio artistico”, ma di un libro che se “tanto piacque e piace ai bambini, piace anche agli adulti, e non già per il ricordo del piacere che vi provarono un tempo, o non solo per questo, ma proprio per sé stesso”.

Il giudizio del Croce è esplicito e chiaro: “È un libro umano, e trova le vie del cuore. L’autore si mise a scrivere quel racconto strampalato delle avventure di un fantoccio di legno per attirare la curiosità e l’immaginazione dei bambini e somministrare, attraverso quell’ammaestramento, osservazioni e ammonimenti morali”. Non a caso, aggiunge Croce, “qua e là vi restano, infatti, alcune poche e piccole accentuazioni pedagogiche. Ma presto prese interesse al personaggio e alle sue fortune come alla favola della vita umana, del bene e del male, degli errori e dei ravvedimenti, del cedere alle tentazioni, ai comodi, ai capricci, e del resistere e ripigliarsi e rialzarsi, della sventatezza e della prudenza, dei moti dell’egoismo e di quelli alti e generosi. Il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità…”.

“Il racconto è condotto in tono leggiero, con perfetta disinvoltura, tra molte piroette dell’immaginazione e riflessioncelle e motti; e nondimeno non cade mai nel mero stravagante e nell’insulso”. Croce ne riassume, con alcune citazioni tratte dal libro, alcune delle scene principali: “scene di pudica bontà” (come quando “il vecchio e povero Geppetto, vedendo il suo figliuolo Pinocchio desideroso di un abbecedario per imparare a leggere, vende la giacca per comperarglielo”); “scene di dirittura morale” (come quando il “burattinaio Mangiafuoco fa grazia a Pinocchio, ma vuol buttare nel fuoco, in sua vece, Arlecchino” e Pinocchio, fieramente, non si sottrae al suo dovere nei confronti dell’amico, facendo commuovere tutti, burattini e burattinaio); “scene di furberia e ingenuità” (come nell’incontro di Pinocchio con “la volpe zoppa” e il “gatto cieco” che vogliono truffargli una somma di denaro e gli propongono un affare e Pinocchio, accettando, promette ai due un regalo che essi, falsamente sdegnati e offesi, rifiutano); “scene dell’umana debolezza” (come quando Pinocchio, già ingannato dal gatto e dalla volpe, “nonostante l’esperienza, nonostante i consigli e gli avvisi ricevuti…all’incontrarsi da capo con gli stessi imbroglioni, ci ricasca”); “scene di gratitudine e commozione”, infine, (come quando il “vecchio tonno porta pel mare a salvamento Pinocchio e il padre” e, giunti alla riva, Pinocchio lo ringrazia e lo bacia). Croce non manca di sottolineare come dall’ “intrigo delle avventure e delle vicende si svolge, di continuo risorgente e sempre vittoriosa, la forza morale della bontà.”

Croce conclude il suo breve saggio con questo giudizio: “Pinocchio fu scritto di vena, in un momento felice, che l’autore non ritrovò più negli altri suoi libri, dove pur sono pagine gradevoli”.

Chiudono il testo due note finali, la prima dedicata ad una citazione tratta dal giustamente celebre “Elogio di Pinocchio” di P. Pancrazi che “dietro Pinocchio” rivedeva “la piccola Italia onesta di Re Umberto”, “con giustezza d’impressione e di parola”, come scrive Croce; l’altra dedicata a una breve bibliografia degli altri scritti di Carlo Lorenzini.

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