giovedì 15 aprile 2010

Meno male che…Roberto c’è!

“Perché il male trionfi, basta che gli uomini del bene non facciano niente”.
“Insomma, è giunto il tempo che smettiamo di essere una Gomorra”. (Don Peppe Diana, “Per amore del mio popolo non taccio”).
(da Roberto Saviano, “La parola contro la camorra”, Torino, Einaudi, 2010).

“Mi sento umile, quasi insignificante, di fronte alla dignità e al valore dello scrittore e giornalista Roberto Saviano, maestro di vita”.
( Josè Saramago, “Il quaderno”, Torino, Bollati Boringhieri, 2009).


“La parola contro la camorra” è il terzo libro di Roberto Saviano, dopo “Gomorra” e “La bellezza e l’inferno”, gli ultimi due entrambi pubblicati da Mondadori.
Tutti e tre, libri bellissimi; tutti e tre, da leggere e rileggere. Saviano ha il dono raro ed aureo, nella scrittura come nella presenza in video, del narratore e del cantastorie di genio: quell’insostenibile e avvincente leggerezza delle parole che possiede, però, un “peso”, uno spessore e un valore inestimabili.
Di “Gomorra”, sconvolgente ed inquietante “viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra” e “dei clan del napoletano e del casertano, da Secondigliano a Casal di Principe”, best seller di successo con oltre tre milioni di copie vendute in tutto il mondo, più volte premiato e tradotto in decine di lingue e paesi, da cui è stato tratto uno spettacolo teatrale e un film altrettanto famoso e premiato, è stato, ormai, detto tutto e di più. Da allora, cioè dal 2006, Roberto Saviano vive sotto scorta per le minacce di morte ricevute. Il secondo libro “La bellezza e l’inferno” è, forse, ancora più bello; un atto di fede e fiducia nella scrittura, quale “possibilità di esistere” e antidoto contro la rassegnazione e la disperazione, e nella libertà e nella bellezza contro “l’inferno che sembra continuamente prevalere”. Da questo libro, che raccoglie e rielabora sostanzialmente gli scritti pubblicati dal 2004 al 2009 su diversi giornali e in diverse occasioni, Roberto Saviano ha tratto quel piccolo e autentico capolavoro di narrazione sulla storia di Lionel Messi, “il più piccolo campione di calcio vivente”, messo in scena domenica 11 aprile 2009 a “Che tempo che fa”.
Il suo terzo libro, che si avvale dei contributi e degli scritti introduttivi di Walter Siti, Aldo Grasso, Paolo Fabbri e Benedetta Tobagi, si compone di due parti. La prima parte, intitolata “Una luce costante”, è la trascrizione di un video registrato a Roma il 30 ottobre 2009 presso la sede dell’Editore Mondadori, un inedito assoluto. La parte seconda, intitolata “Così parla la mia terra”, è – in realtà – il racconto della puntata speciale di “Che tempo che fa”, condotta da Fabio Fazio e andata in onda il 25 marzo 2009, in una sorta di “monologo-intervista”. Dedicata all’analisi del rapporto tra “il linguaggio dell’informazione” dei giornali locali delle province di Napoli e Caserta e le organizzazioni criminali, essa è, altresì, corredata di immagini e fotografie in aggiunta al testo, alcune delle quali mostrate e commentate nello speciale televisivo.
Allegato al libro, circa un centinaio di pagine assolutamente imperdibili, è un Dvd di 120 minuti che contiene sia il video romano di ottobre, una bellissima “orazione civile” dal significativo titolo “La parola contro la camorra”, sia la puntata speciale della trasmissione televisiva in onda su RAI 3 del marzo 2009. Filo conduttore di entrambi e del loro “spirito unico” è il potere della parola, potremmo dire sia di quella scritta, sia di quella parlata, contro l’infelicità della camorra e della criminalità organizzata. Sia il libro, sia il video sono, infatti, la prova che - quando non usurata, narcotizzata e umiliata dalla comunicazione inautentica, priva della forza morale dell’esempio e della testimonianza - sia la parola letteraria, sia quella televisiva sono ancora capaci di trasmettere verità, “vita” ed “autorevolezza”.
Come ha sottolineato Walter Siti nel primo degli scritti introduttivi al libro, solo “l’ultimo Pasolini” era stato in grado di fare e osare altrettanto. E non a caso, essendo egli stato forse l’ultimo dei grandi poeti, scrittori ed intellettuali “civili” del nostro secondo Novecento. Ma, allora, perché Saviano racconta e scrive libri e appare in televisione?
Scriveva Pier Paolo Pasolini nelle “Lettere luterane”, rivolgendosi al suo immaginario Gennariello napoletano: “Il mondo è dei bravi, e i cojoni se lo godono. È una delle più grandi verità che le mie orecchie abbiano mai ascoltato…Lascia che i cojoni si godano il mondo, e invidia pure come me, struggentemente, per tutta la vita, la loro felicità”. Esortava poi Gennariello a non cadere nella trappola “del potere dei consumi” col risultato di inseguire una felicità “tutta completamente falsa: mentre si diffonde sempre di più una immediata infelicità” e concludeva: “Sappi, invece, Gennariello, che, contrariamente al proverbio sublime di Chia, c’è anche una felicità dei bravi. Il proverbio di Chia dice infatti che il mondo è dei bravi, alludendo decisamente al possesso, al potere. Ma allora va aggiunto che oltre al possesso del mondo da parte dei padroni, c’è anche un possesso del mondo da parte degli intellettuali, e questo è un possesso reale: com’è del resto quello dei cojoni. Si tratta soltanto di un diverso piano culturale. È il possesso culturale del mondo che dà felicità”.
Perché, allora, Saviano scrive e racconta anche a rischio della sua stessa vita? Forse, la risposta è proprio in quelle parole di Pasolini, perché il sogno di Saviano e la sua felicità sono fatte proprio di questo “possesso culturale”. Non a caso, mi sembra, Roberto Saviano, nella sua più recente apparizione in tv, ha indicato a modelli quelli che ancora si ostinano a fare il difficile mestiere di insegnante, scrittore e giornalista sforzandosi di pensare, capire e ragionare, di insegnare a pensare, a capire e a ragionare, di far pensare, far capire e far ragionare. Spesso, "in direzione ostinata e contraria".
Sì, si può essere felici, pienamente felici, anche così.
Contro la “cattiveria” e il “neo-cinismo”, rassegnato ma infelice, sempre più dilaganti, “ il sogno è che magari queste mie parole, condividendole, possano davvero diventare uno strumento. Non soltanto per affermarmi,” – scrive, infatti, Saviano – “ma anche per vivere meglio, per essere più felice e per permettere a chi mi circonda di essere più felice”.
Meno male che…Roberto c’è.
Non posso fare a meno di ringraziarlo e di sentirmi anch’io umile e quasi insignificante, come Saramago, per ciò che fa e per come lo fa e di augurargli, tuttavia, nonostante tutto, nonostante la sua terribile vita blindata, quello che Pasolini stesso augurava a Gennariello: “Sii allegro”.
Roberto Saviano, sii allegro!
E che i tuoi lettori e il tuo pubblico, contribuendo a diffondere le tue parole, possano proteggere te e i tuoi libri!

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