martedì 29 giugno 2010

La mia breve esperienza politica

Cronistoria in una lettera e due documenti

Lettera a L’Unità
Caro Direttore,
la mia formazione culturale ed etico-politica e la mia educazione morale e sentimentale risalgono ai primi anni settanta – anni certamente non facili e poco tranquilli, spesso violenti, confusi, disordinati e sovente dominati da schematismi ideologici, dogmatici e populistici ma, nondimeno, anni ricchi di autentica tensione morale e intellettuale e di notevoli fermenti culturali.
Gramsci, Lukacs, De Sanctis, Antonio Labriola, Croce ma anche Sartre, Freud, Nietzsche, Fromm sono stati alcuni degli autori che hanno formato la mia biblioteca ideale, orientando e guidando la mia formazione, alla luce di alcuni ideali e valori etico-politici di fondamentale importanza: libertà, giustizia, democrazia. In quegli anni tutto ciò, insieme ad una forte e giovanile carica contestatrice per il rinnovamento della società, mi ha spinto ad avvicinarmi al P.C.I..
Sono stato iscritto alla F.G.C.I. napoletana nel 1974 ma non ho più rinnovato la tessera quando, dopo i drammatici avvenimenti del Cile di Allende, il partito fece propria la proposta del compromesso storico avanzata, sulle pagine di Rinascita, da Enrico Berlinguer (di cui avrei solo più tardi apprezzato, ammirato e purtroppo rimpianto la nobile, onesta ed austera figura di grande leader). Non ho condiviso di quella proposta la concreta gestione politica, in quanto – pur comprendendone le motivazioni e pur riconoscendo il ruolo da essa svolto per la tenuta democratica del tessuto civile e sociale del Paese negli anni terribili del terrorismo – ero convinto che essa avrebbe contribuito a bloccare il processo di costruzione di un’alternativa sociale e politica credibile, aprendo, poi, spazi, com’è accaduto, all’iniziativa autonomistica di Craxi e alla successiva restaurazione conservatrice.
Ancora comunista ma in qualità di compagno di strada fino al 1976 ed impegnato nei vari collettivi studenteschi e nei movimenti della sinistra extraparlamentare, ho partecipato – anche se su posizioni fortemente critiche e sempre pacifiche e non violente – al movimento del 1977, stroncato dall’esplosione della guerriglia autonoma e dal terrorismo brigatista, culminato nel barbaro omicidio di Aldo Moro. Questi eventi che, a mio parere, hanno di fatto bloccato in Italia la crescita politica ed elettorale della sinistra hanno sconvolto le mie speranze e la mia (e quella di tanti altri amici e compagni) evoluzione politica, avviando una profonda riflessione autocritica e una sofferta revisione ideologica, sfociata negli anni 1979 e 1980, nella mia adesione alla rinascita di una forza politica di socialismo liberale, pur se continuavo a sentirmi legato, per estrazione sociale, cultura politica e, perché no, sentimentalmente anche, al P.C.I..
Ho vissuto, con qualche trauma, questa scissione interiore, partecipando con alcuni amici, alla cosiddetta rinascita del pensiero politico neo-liberale (ancora Croce, più Popper e Dahrendorf), approdando, anche se mai del tutto completamente, nell’orbita dell’area liberal – socialista (il lib-lab degli anni ’79-’80, appunto).
Deluso e, a dir la verità, anche un po’ nauseato dallo snobismo, dal classismo, dalla mancanza di autentico spessore ideale, morale e politico e dalla politicaccia di piccolo cabotaggio, clientelare e carrieristica, di grandissima parte di quell’ambiente politico-culturale, mi sono definitivamente allontanato dalla politica attiva, rinserrandomi sempre più nel privato e facendomi coinvolgere, mio malgrado, nel riflusso e nel deflusso dilaganti. Nel frattempo, mi sono laureato in Filosofia, ho superato un concorso pubblico a cattedre per l’insegnamento a Milano, prima nelle scuole medie e poi nelle superiori, e sono emigrato al Nord.
Ho vissuto, cercando di salvare il salvabile della mia esperienza etico-politica e culturale, gli anni ’80, certo meno violenti e più prodighi di benessere economico, ma sicuramente anche più vuoti ed effimeri del decennio precedente, anni – avrebbe detto isolini – di sviluppo senza progresso. Ho vissuto il grande freddo montante e ho assistito allo scatenarsi dei vari yuppismi, rampantismi ed affarismi, alla spettacolarizzazione dirompente della politica, al trionfo dell’avere sull’essere, alla diffusione della disgregazione sociale, degli egoismi individuali e dei vari razzismi, alla crescita della volgarità in un’Italia sempre più opulenta e moderna (per fortuna!), ma anche più cinica, cloroformizzata e lobotomizzata (purtroppo!).
Ho ripreso a votare per il P.C.I., dopo molti anni, grazie al nuovo corso liberal di Achille Occhetto: mi è sembrato uno spiraglio nuovo di rinnovata iniziativa politica, nel clima stagnante e narcotizzato della sempre più asfittica vita etico-politico-culturale del Paese, in una situazione in cui – al cospetto dei tragici avvenimenti cinesi di piazza Tien An Men e, successivamente, di quelli ancor più drammatici e straordinari dei paesi dell’Est – il P.C.I., che mi è sempre apparso malgrado tutto come una delle vere grandi forze di rinnovamento e di progresso della società italiana, ha cominciato a correre il rischio di essere seriamente emarginato. Ed ho deciso di tornare ad iscrivermi al P.C.I., dopo una lunga e anche tormentata riflessione, grazie alla proposta avanzata dall’attuale segretario per l’apertura di una fase costituente di una nuova formazione politica della sinistra che, alla luce degli epocali avvenimenti nell’Europa dell’Est, sapesse davvero restituire rinnovata voce alle aspirazioni di libertà, giustizia e democrazia, per una reale e non violenta trasformazione della società. Una formazione politica che, mi auguro, si ispiri a quanto di meglio ha elaborato (senza trasformismi, né superficiali sincretismi) la tradizione critica del pensiero e dell’azione politica occidentali, senza eurocentrismi, nella direzione di una società autenticamente democratica, liberante, progressiva e non autoritaria, liberale e socialista, ma di un socialismo liberale e autorevole, vero ed autentico, non elitario ma popolare, culturalmente rigoroso ed eticamente ispirato, sensibile alle nuove tematiche sempre più trasversali e interplanetarie dei diritti di cittadinanza, di uno sviluppo economico ecologicamente sostenibile e civile (non meramente quantitativo), di un governo democratico dell’economia tendente a ridurre la forbice sempre più allarmante tra Nord e Sud del mondo.
Giustizia sociale, democrazia e libertà: ideali certo non nuovi ma antichi, da coniugare concretamente, con le gambe del nuovo partito. Che sia questa la volta buona? Si tratta di una sfida certamente impegnativa che richiederà un enorme sforzo di analisi, riflessione e proposta politica, sintesi filosofiche nuove ed originali, capacità non indifferenti di rinnovata elaborazione teorica, concreti strumenti organizzativi e politici anche nuovi. Ma credo anch’io che sia la strada giusta, l’unica possibile.
Le invio, a conclusione di questa sorta di confessione, l’intervento che ho fatto al Congresso straordinario della sezione “Antonio Gramsci” di Monza, presso la quale mi sono iscritto il 26 gennaio del 1990.
Vorrei leggere alcune righe e fare poche e brevi riflessioni. Eric Hobsbawm, lo storico marxista più autorevole della sinistra inglese, attualmente iscritto al piccolo e irrilevante partito comunista britannico, ha rilasciato in un’intervista recente a La Repubblica le seguenti dichiarazioni: “Continuo a definirmi comunista per precise ragioni biografiche. Lo sono dall’età di 14 anni e non vedo perché dovrei vergognarmene proprio adesso a settanta anni. Innanzitutto, tra i comunisti occidentali ho trovato persone straordinarie, uniche per onestà e dedizione morale verso una idea politica alla quale hanno dedicato la vita intera, senza averne in cambio nessun vantaggio materiale. Non è forse così anche in Italia, dove la parte politica più onesta è quella comunista?
In secondo luogo, è opportuno non dimenticare il grande ruolo giocato da questo movimento a favore della crescita e dell’educazione di masse operaie e contadine che in esso hanno trovato una vera scuola di emancipazione.
Terzo, e più importante, se oggi viviamo in società liberal-democratiche e non autoritarie, molto lo si deve a quanto hanno fatto i comunisti per abbattere il nazifascismo.
Detto questo, una grande tragedia si è consumata.
E quel comunismo non esiste più, è stato sconfitto.
Si devono quindi trovare altre strade di integrazione della sinistra. Per questo definirsi comunista può avere senso per me, certo non per un giovane di vent’anni”.
Ecco, uno dei motivi che – grazie al nuovo corso e alla svolta di Occhetto – mi hanno spinto a votare nelle ultime elezioni P.C.I., dopo diversi anni in cui ho votato partito radicale e verdi, è stato proprio questo. Restituire senso e valore a quegli ideali di giustizia, libertà, democrazia e solidarietà che, al di là del nome, hanno reso forte e credibile questo partito, da Gramsci a Berlinguer. E restituire a questi valori e a questo patrimonio storico la possibilità concreta di avere un futuro.
Non bisogna permettere che tutto questo venga cancellato dalla memoria e dalla coscienza delle nuove generazioni che non hanno vissuto quella storia e che non possono oggi riconoscersi più nel nome del comunismo. Se si desidera che quegli ideali e quelle lotte continuino a vivere è necessario cercare una nuova via, una nuova forma partito, anche un nuovo nome.
Questa, mi sembra, è l’intuizione politica forte che sta alla base della proposta avanzata da Occhetto di una costituente per una nuova formazione politica della sinistra italiana. Non lo scioglimento del P.C.I., né la confluenza nel P.S.I., non un’omologazione all’esistente, al modello della politica spettacolo, alla partitocrazia, allo strapotere delle logge e delle clientele mafiose, alla manipolazione delle coscienze e alla concentrazione dell’informazione. Il problema è ricostruire una forza politica rinnovata che sia nuova non solo nel nome.
Capisco e condivido anche le perplessità, le ansie, le angosce, i dubbi, le amarezze di tanti compagni. Mi viene in mente, a questo proposito e per non cadere nella retorica dei sentimenti, una celebre battuta dell’attore e regista ebreo-americano Woody Allen, che si potrebbe parafrasare così: Dio è morto, Lenin pure, il P.C.I. sta per morire e anch’io non mi sento più molto bene!
Ma questo non è più tempo per comprensibili ma inefficaci sentimentalismi. Non è più tempo per dispute nominalistiche. Deve essere il tempo del cambiamento, di una passione riformatrice reale, dell’impegno civile. E di nuova riflessione, analisi, critica e proposta politica. Se è vero che al potere fa comodo un partito comunista sempre più debole e indebolito, allora io preferisco continuare a lottare con la stessa tensione morale che è stata dei comunisti italiani, anche se in forme nuove e con un nome diverso, senza trasformismi né cedimenti sul piano etico e politico. Perché la storia e la politica, quelle vere ed autentiche, vanno ben al di là del nome comunismo, se è vero ciò che Gramsci scriveva e cioè che esse riguardano gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi”.

( Ampi stralci di questa lettera-confessione sono stati pubblicati su L’Unità del 12 Maggio 1990, nella pagina delle Lettere)

Documento 1
Gli iscritti all’Unità di Base “Antonio Gramsci” del P.D.S., riunitisi in assemblea a Monza in data 26 giugno 1992,
MANIFESTANO
Le loro perplessità nei confronti del metodo consociativo che ha portato all’accantonamento della candidatura di Stefano Rodotà a Presidente della Camera dei Deputati ed esprimono la loro solidarietà nei suoi confronti, in relazione alle sue dimissioni da Presidente del Partito.
INVITANO
I gruppi dirigenti e parlamentari del P.D.S. ad assumere prontamente una chiara e decisa iniziativa politica, nel Parlamento e nel Paese, per la concessione dell’autorizzazione a procedere nei confronti di tutti i parlamentari inquisiti e a farsi promotori di una legge che abolisca finalmente l’iniquo istituto dell’immunità parlamentare per tutti i reati comuni, ad eccezione di quelli connessi alla libera espressione delle proprie opinioni politiche.
SOLLECITANO
Gli stessi dirigenti e parlamentari ad una necessaria e profonda revisione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, allo scopo di prevenire con più efficacia tutti i casi di corruzione politica e di illecito finanziamento.
ESPRIMONO
Il loro sostegno pieno e completo alle inchieste giudiziarie in corso a Milano e non solo a Milano, e tutta la loro solidarietà all’opera svolta e in corso di svolgimento dai giudici Di Pietro e Colombo.
CHIEDONO
La sollecita costituzione di parte civile del P.D.S. nell’imminente processo per lo scandalo delle tangenti contro tutti i propri amministratori, dirigenti ed eletti in esso coinvolti e riconosciuti colpevoli da parte della Magistratura.
SOLLECITANO
La più rapida restituzione, in forme e modi da individuare, di tutte le somme di danaro pubblico frutto di corruzione politica e il loro convogliamento in un fondo nazionale “Libero Grassi”, per tutte le vittime della lotta contro il racket e la criminalità organizzata.
IMPEGNANO
Gli organi dirigenti del partito, a tutti i livelli, a realizzare concretamente e al più presto tutte le misure e regole essenziali per una politica davvero pulita e a mettere di nuovo al centro del proprio impegno la questione morale, secondo le indicazioni, purtroppo disattese, di Enrico Berlinguer.
AUSPICANO
In linea con le più recenti iniziative delle unità di base auto-convocate presso la Federazione di Milano, l’organizzazione di una conferenza programmatica sulla nuova forma partito e una più coraggiosa ed adeguata riflessione critica sulla malintesa politica di “unità socialista” a Milano, responsabile in primo luogo della subordinazione consociativa del P.C.I. - P.D.S. alla politica craxiana del riformismo senza riforme, delle degenerazioni oligarchiche e corruttrici e delle contaminazioni sempre più gravi ed allarmanti tra politica, affari e criminalità.
INVITANO
I gruppi dirigenti a superare i paralizzanti veti incrociati interni, la cristallizzazione delle correnti organizzate, la suicida e sterile querelle tra opposizione pregiudiziale e ad ogni costo e partecipazione subordinata e consociativa al governo e a rilanciare con forza, in Parlamento e nel Paese, aprendo sul serio le porte del partito alle forze esterne della società civile e dell’associazionismo, un’estesa iniziativa politica di massa sulla base di un chiaro, serio, e concreto programma riformatore, sempre più necessario per affrontare la gravissima crisi economica, politica, istituzionale e morale che rischia di minare le basi stesse della democrazia in Italia.

Documento 2
Al Segretario dell’Unità di Base
“Antonio Gramsci”
Monza
OGGETTO: Dimissioni dal Comitato Direttivo
Il sottoscritto Aldo Maiorano comunica la propria decisione di rassegnare le dimissioni dal Comitato Direttivo dell’Unità di Base “Antonio Gramsci”.
Allega alla presente, quale pro – memoria, il documento invano sottoposto all’attenzione degli organismi dirigenti della stessa, fin dallo scorso mese di giugno.
Monza, 27/11/1992
Cordiali saluti
Aldo Maiorano

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