martedì 29 giugno 2010

Le belle bandiere e ...le battaglie perse

“Non si spezza una storia, non si interrompe un’emozione”. “Troppa pubblicità uccide la pubblicità”.
Con questi slogan felici e, direi, proprio belli, il PCI ha promosso una difficile ma importante battaglia politico-culturale che ha, almeno per ora, riscosso un notevole successo, confermato dal voto espresso dal Senato contro l’eccessiva proliferazione degli spot e, in particolare, contro l’interruzione continua dei film trasmessi in tv.
Mi auguro che la Camera dei Deputati confermi tale posizione che, a mio parere, non costituisce affatto un “dettaglio tecnico” di irrilevante significato, come è stato da qualche affermato. Si è trattato, infatti, di un’importante battaglia di civiltà e di libertà, di indubbio valore non solo politico ma anche culturale ed educativo. Essa ha posto di nuovo al centro dell’attenzione, nel mondo del spettacolo e dell’informazione televisiva sempre più dominato da giochetti pubblicitari, giochi di potere e giochino vari, i valori del rispetto sia dell’integrità e della bellezza dell’opera d’arte, sia della dignità dei telespettatori, sia del prevalere dell’interesse pubblico su quello privato,
Non una battaglia di retroguardia, dunque, ma un’iniziativa tesa a salvaguardare, dalla marea spesso volgare dell’affollamento pubblicitario dilagante, il significato stesso della pubblicità autentica quale indispensabile strumento di informazione e comunicazione in una moderna società di massa. L’adesione a tale campagna da parte di numerosi intellettuali, personalità della cultura e del mondo politico, registi ed attori (da Fellini a Scola a Loy e Benigni) è la dimostrazione che è ancora possibile realizzare, attorno a una proposta concreta e giusta, un ampio schieramento di forze vive e vitali. Ed è forse l’esempio più attuale delle possibilità concretamente riformatrici che si aprono ad una rinnovata formazione politica della sinistra democratica che, senza ricorrere a pericolosi trasformismi, omologazioni culturali e cedimenti sul piano etico-politico, sappia veramente coniugare la capacità di formulare proposte di governo con la critica e la trasformazione della società e dello stato di cose esistente.
Aldo Maiorano, Monza (MI)

(Lettera pubblicata su “Rinascita” del 22 aprile 1990 con il titolo “La battaglia sugli spot è un esempio” e su L’Unità del 25 aprile 1990 con il titolo “Troppa pubblicità uccide la pubblicità”)




Caro direttore,
mi sarebbe piaciuto che il PCI si fosse impegnato di più nella recente e sfortunata campagna referendaria. E non solo per promuovere una battaglia ideale, politica e civile tesa ad una più rigorosa e restrittiva regolamentazione della caccia e dell’uso dei pesticidi in agricoltura, ma anche per difendere e per diffondere realmente, con maggiore chiarezza e più vigore, una cultura e una civiltà fondate sul rispetto dell’ambiente, della natura e di tutti gli esseri viventi.
Quale altra prospettiva si potrebbe, altrimenti, immaginare se non quella della ricerca di un più giusto ed avanzato modello di sviluppo economico-sociale basato non solo sul riequilibrio tra Nord e Sud del mondo, tra aree sviluppate e aree sottosviluppate, ma anche sul riequilibrio ecologico del sistema produttivo e su un più maturo rapporto non soltanto tra gli uomini ma anche tra la natura stessa e l’uomo? Si può forse lasciare solo alle forze ambientaliste (e alla Chiesa cattolica) la prerogativa di una rinnovata ma ugualmente necessaria critica dell’attuale società industrializzata di massa, dei suoi meccanismi di sviluppo spesso distorti ed alienanti e delle sue logiche sfrenatamente consumistiche e di progressivo quanto suicida annientamento di risorse che non sono affatto illimitate?
E a chi dovrebbe spettare il compito di contribuire a costruire non solo una società aperta, dinamica, ad economia mista (né centralizzata burocraticamente né semplicemente abbandonata ai meccanismi di un libero mercato senza e senza controlli), ma anche una società fondata sul rispetto dei diritti di una cittadinanza degli uomini e delle donne, degli animali e delle piante, su uno sviluppo ecologicamente sostenibile e su una nuova civiltà planetaria basata sulla consapevolezza che “non è la Terra che appartiene all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla Terra”?.
Sì, mi sarebbe piaciuto che tutto questo fosse stato spiegato e chiarito con più forza e convinzione nel corso della recente consultazione popolare. L’esito del referendum ha, invece, segnato una battuta d’arresto al riguardo ed ha, insieme, inferto un duro colpo allo stesso istituto referendario quale strumento di partecipazione democratica diretta dei cittadini, in una fase politica in cui si accrescono in modo preoccupante segnali sempre più chiari di sfiducia e scollamento tra cittadini, politica ed istituzioni e fenomeni di corporativismo, indifferenza e disgregazione sociale.
Mi sarebbe piaciuto, infine, che il PCI si fosse rivolto al corpo elettorale, dopo l’esito del referendum, ringraziando non solo i cittadini che si sono recati alle urne per votare sì, ma anche e, forse, soprattutto, quelli che hanno votato no e che hanno esercitato, responsabilmente e civicamente, il loro diritto-dovere di libera espressione e di partecipazione democratica.
Una nuova e diffusa cultura dell’ambiente e, insieme, una nuova e diffusa cultura della democrazia, nella direzione di una società in cui possano coesistere crescita economica e progresso civile e culturale, sviluppo tecnico-scientifico, difesa dell’ambiente e democrazia, libertà e giustizia: ecco, anche da qui sarà necessario ripartire, dopo la sconfitta del referendum, per rilanciare una nuova e più forte iniziativa politica di massa. O, altrimenti, si correrà il rischio di andare incontro ad una società sempre più involta nel consumismo e nell’apatia, ad una civiltà senza più natura e ad una democrazia sempre più indifferente e sempre meno partecipe.
Aldo Maiorano, Monza (MI)

(Lettera pubblicata su L’Unità di venerdì 6 luglio 1990 con il titolo “Grazie a chi ha votato”)

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