martedì 29 giugno 2010

Lettera su Gramsci

Sarebbe paradossale che proprio in Italia si rinunciasse a interrogarsi su un pensiero così stimolante come quello di Gramsci, che suscita tanto interesse nel mondo.


(Pubblicata su L’Unità del 26 settembre 1990, nella rubrica Lettere e Opinioni)

Caro direttore,
ho letto (L’Unità del 4 settembre 1990) il resoconto del dibattito svoltosi a Modena su “Gramsci nella cultura politica italiana” e la successiva, breve ma opportuna, precisazione di Renato Zangheri il 6 settembre. Non intendo entrare nel merito della disputa, tanto annosa quanto forse oziosa, circa “il maggiore o minore marxismo o leninismo di Gramsci”, ma non posso fare a meno di condividere le osservazioni formulate da Zangheri: “Le posizioni di Gramsci andavano oltre Lenin, e il suo ruolo storico oltrepassa molto quello a cui talora lo abbiamo ristretto di traduttore del leninismo in Italia”.
Eppure, quel che mi sembra incredibile e paradossale è proprio questo: che una figura con tratti così originali, personali e profondamente nazionali come quella di Gramsci possa essere stata ridotta, ristretta e rimpicciolita – l’ha osservato anche Norberto Bobbio – nel ruolo di traduttore o “di seguace più che di un pensatore genuino”.
Altrettanto paradossali, anche se per diverse ragioni, suonano le amare – e, mi auguro, troppo pessimistiche - considerazioni di Giuseppe Fiori, il quale lamenta una certa indifferenza della cultura italiana, del P.C.I. e del suo apparato culturale, nei confronti di Gramsci. Sarebbe, in verità, strano se l’opera gramsciana di storico e di critico della società contemporanea fosse destinata proprio in Italia alla rimozione, quando invece – come afferma lo stesso Fiori – essa continua ancora oggi a riscuotere costante interesse e, anzi, crescente attenzione all’estero.
Ciò, del resto, è stato ampiamente documentato nel recente convegno internazionale svoltosi a Formia tra il 25 e il 27 ottobre 1989 per iniziativa dell’Istituto Gramsci, nel quale sono state presentate numerose relazioni sulla fortuna dell’opera di Gramsci non solo nei maggiori Paesi europei e negli Stati Uniti, ma anche in molti Paesi extraeuropei, come Cina, Giappone e il mondo arabo. Lo stesso Norberto Bobbio – nel discorso pronunciato a Roma nell’auletta di Montecitorio in occasione del 50° anniversario della morte di Gramsci, poi ripubblicato insieme ad altri suoi scritti gramsciani nel suo pregevole e nuovo volume “Saggi su Gramsci”, Feltrinelli, 1990 – ha sottolineato la crescente vitalità del pensiero gramsciano in Paesi diversi dall’Italia e ha testualmente osservato: “Mi è accaduto di affermare, alla fine di un convegno sulla filosofia italiana di questi ultimi decenni, che avevamo importato tutto e non eravamo riusciti ad esportare nulla. Nulla eccetto Gramsci, sul quale la letteratura inglese, francese, tedesca e americana è amplissima, oserei dire più ampia di quella su Croce”.
Sarebbe davvero paradossale, pertanto, e questo sì veramente provinciale, rinunciare proprio in Italia ad interrogare ancora i testi di Gramsci e rinunciare ad interrogarsi su un pensiero per tanti aspetti ancora così stimolante (un classico, ormai). Ciò significherebbe precludersi non solo la conoscenza di “un raro monumento umano e letterario” e di un’esperienza culturale e politica essenziale per la comprensione del nostro passato più prossimo, ma anche rinunciare allo studio dell’unica interpretazione forse veramente critica, originale e antidogmatica del marxismo contemporaneo quale storicismo assoluto. E rinunciare, altresì, ad un “rarissimo esempio di coerenza tra pensiero ed azione, tra idee professate ed impegno politico”.
Non avrebbe forse ancora bisogno proprio di simili esempi l’Italia intellettuale di questi ultimi tempi? L’Italia, vale a dire, delle polemiche strumentali e di basso profilo storico contro il Risorgimento e la Resistenza?
Aldo Maiorano, Monza.

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